Finanza etica, il buon agire paga

Finanza etica, il buon agire paga

Banca mia, n.4 Dicembre 2009

di Diego Mancuso

A colloquio con Mons. Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano
Riflessioni d’attualità dopo il viaggio con i soci in Terra Santa

Eccellenza, quante possibilità ha oggi un banchiere di andare in Paradiso?
Mah… dipende! Di solito si trova solo ciò che si cerca davvero! Mi pare che molti abbiano cercato altri paradisi fiscali o finanziari e che siano finiti in situazione di purgatorio, se non perfino di inferno nel quale hanno trascinato anche tanta povera gente! In tal senso ci vuole un cambio davvero radicale di direzione nell’agire. Non è facile, perché il denaro è molto rischioso per l’anima… ma è possibile! D’altronde anche tra coloro che incontrarono Gesù c’erano anche dei quasi-banchieri (i pubblicani come Matteo o anche Zaccheo) i quali cambiarono il loro modo di vivere rendendo quanto frodato e dando ai poveri. Anche la professione di banchiere è per il bene ed è una via per farsi santi attraverso quell’impegno. Molte banche sono nate spesso dalla sensibilità di qualche sacerdote o di qualche santo che volle trovare rimedio adatto alle povertà, all’usura, allo sfruttamento o all’abbandono dei più deboli… Se tale professione mantiene quest’anima è una buona via per il Paradiso: Gesù diceva
“accumulate tesori per il Regno dei cieli… dando ai poveri!”

La domanda era, ovviamente, scherzosa ma il tema della finanza etica è, in tempi di crisi, particolarmente urgente ed attuale e l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, con il riconoscimento dato alla cooperazione del credito, incoraggia le Bcc a proseguire lungo questa strada. Lei ritiene che si possa effettivamente “operare secondo una giusta convenienza” – usando le parole del Papa – e rimanere (come è abituale dire) “competitivi”?
Sono argomenti su cui non ho competenze particolari e lo stesso linguaggio mi è difficile, ma anche l’esperienza recente che ha portato alla crisi che viviamo, mi pare che lo dimostri: chi si è lanciato in avventure meno giuste e non rispettose del bene comune (che deve sempre avere come riferimento chi ha di meno), alla fine ha causato veri disastri che si ripercuotono sulle stesse banche. La competitività è giusta, ma non può dimenticare le regole e i principi del rispetto del più debole, se no diventa ingordigia. Gli effetti poi devono essere visti nei tempi più lunghi. È il buon agire che paga e non i facili e veloci successi di rapina.

In altri termini, si può fare impresa anche perseguendo fini di utilità sociale, superando la dicotomia tra sfera economica – dove si producono ricchezza e reddito – e sfera sociale, dove il reddito e la ricchezza si distribuiscono?
La dottrina sociale della Chiesa, che applica al vivere sociale ed economico il Vangelo e lo stile di vita che nasce da esso, è convinta che si possa fare impresa e perseguire nel contempo obiettivi di utilità sociale: ciò avviene quando la banca davvero si impegna e facilita il trasferimento dei fondi di coloro che hanno (e li affidano ad essa) a coloro che invece li domandano al fine di poterli impiegare. Bisogna che lo faccia riducendo al minimo l’utile per la banca stessa; altrimenti si inceppa il meccanismo per cui è nata.

Allora, quale è il profilo di un buon banchiere cooperativo, visto che con questo riconoscimento la Chiesa impone comportamenti improntati alla massima coerenza… Ci vuole un impegno ancora maggiore!
Colui che è chiamato ad amministrare lo deve fare con la consapevole coscienza di essere al servizio per la promozione del bene comune. Talvolta si cade nella tentazione di servirsi del proprio incarico per un proprio tornaconto o di avere sempre come primario il beneficio per l’istituzione. Se non si servono le persone e non si sa rischiare di più per loro, non si attua il fine per cui tali istituzioni sono nate. Questo mi pare molto più importante in questa fase dove tante persone non possono offrire altro se non la garanzia del loro impegno e la loro coerenza.

Collaborazione e rapporti tra diocesi e Bcc: ci può tratteggiare il quadro della situazione? Si avverte, e in che misura, l’impegno per il territorio?
Forse la domanda si riferisce all’impegno di diverse Bcc toscane che collaborano con la “Fondazione Giovanni Paolo II” di cui faccio parte. È un bel segno che rende più sicuro quanto ho già detto. Se invece si riferisce al rapporto con la Diocesi o le Diocesi in Toscana non ho molto da dire. Credo che il criterio importante non sia quello di chiedersi quale rapporto hanno con le o la Diocesi (è proprio un piccolissimo segmento).
L’importante è se si è pronti o se si vuol rispondere davvero in maniera effettiva al territorio in cui una banca agisce: penso alle famiglie in difficoltà con i mutui, penso al bisogno di credito anche di chi non può dare altre garanzie, penso a chi è stato invitato a prendere iniziative o a fare investimenti e che ora è sottoposto a prove e difficoltà di cui certo non è stato causa… L’interesse alla diocesi/alla chiesa è importante, ma vi sono persone e istituzioni che hanno molto più bisogno ed è per loro che bisogna mettere in moto meccanismi più virtuosi.

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