Renato Burigana (Firenze)
«La Fondazione, nata nel 2004, raccoglie – spiega mons. Luciano Giovannetti, vescovo emerito di Fiesole e suo Presidente – e si fa espressione del lavoro che da oltre quindici anni la Diocesi di Fiesole, unitamente ad altre Diocesi toscane e italiane, in particolare Montepulciano-Chiusi-Pienza, ha svolto con impegno a favore dei Paesi del Medio Oriente e di altre zone del mondo gravemente svantaggiate, superando la logica della sola emergenza, per impostare invece una serie di progetti volti soprattutto allo sviluppo di realtà sociali, quali l’istruzione, i servizi sanitari e la formazione professionale. In realtà la ragion d’essere della Fondazione sta proprio nel favorire il più possibile la collaborazione e il coordinamento tra la Conferenza Episcopale Italiana, il mondo delle Istituzioni e dell’economia, una sorta di collegamento permanente tra le varie realtà – laiche ed ecclesiali – che si occupano di interventi di cooperazione e di sviluppo in particolare nell’area del Mediterraneo, del Vicino e Medio Oriente, cercando di mettere insieme risorse e forze per approntare progetti anche di lungo respiro, che possano lasciare tracce tangibili e durature ed incidere profondamente nei tessuti economici, sociali e culturali delle zone nelle quali ci si impegna ad operare e a collaborare».
In questa parte del Mondo, nella quale la presenza dei cristiani negli ultimi decenni ha subito una forte flessione, oggi più che mai è necessario lavorare per il dialogo e la convivenza sia con i musulmani che con gli ebrei, avendo ben coscienza che i cristiani sono in una posizione di forte minoranza numerica, ma anche con la piena consapevolezza che possono svolgere un grande lavoro di raccordo, di sintesi e di testimonianza attiva nella migliore tradizione di identità e di servizio verso le comunità e le società dei paesi del Medioriente. Ma per fare questo è assolutamente necessario che i cristiani che vivono in questi paesi, non siano discriminati, siano posti in condizione di esprimersi alla pari degli altri. Non è cosa facile: la situazione varia molto da paese a paese. Ogni nazione ha ovviamente una realtà sua propria che si manifesta con caratterizzazioni diverse della società civile. È una realtà assai complessa quella della Terrasanta, una realtà allo stesso tempo sempre uguale e sempre in frenetico movimento: la Fondazione si sente parte integrante e viva di tutto ciò, pure operando talvolta in difficoltà e in situazioni estreme che non si riscontrano in altre parti del Mondo, ma proprio per questo degne e necessitanti di costante attenzione e attento monitoraggio e ancor più di pazienza e saggezza infinita.
La Fondazione per il dialogo, la cooperazione e lo sviluppo è impegnata, fra l’altro, nella realizzazione di alcuni progetti in Libano, in Israele, nei Territori dell’Autonomia Nazionale Palestinese, in Iraq e in Italia a Palermo. In particolare, dopo molte realizzazioni effettuate grazie al contributo della CEI (utilizzando l’8 per mille) oggi la Fondazione sta aggregando intorno al contributo CEI anche quello di privati, Enti e Fondazioni. «La Terra Santa non va considerata una preoccupazione tra le tante. Essa è la priorità per la Chiesa cattolica e per i cristiani – ha detto il cardinal Leonardo Sandri, Prefetto della congregazione per le Chiese Orientali, incontrando la Fondazione – come è quella ecumenica e interreligiosa. “Chiedete pace per Gerusalemme – dice il salmo 86 – perché tutti là siamo nati”. Quella Terra è santa perché è il luogo di convocazione sulle orme stesse di Dio. Per divina volontà continua anche ai nostri giorni la convocazione di tutti i popoli sul monte Sion, che evocava il profeta Isaia. Tale convocazione esercita tuttora un fascino universale. La Terra Santa gioca, pertanto, un ruolo centrale per l’intera area mediorientale. Direi di più: l’intera umanità guarda a quella Terra, avvertendo di avere con essa profondi legami. Ma, purtroppo, in questo riferimento si intrecciano interessi non sempre religiosi e intenti non sempre di pace. Nonostante ciò. Mi chiedo: potranno le Chiese e le istituzioni civili dell’Europa e del mondo mancare all’appuntamento di pace fissato anche nel nostro tempo con la Terra Santa?»
I progetti della Fondazione sono finalizzati a migliorare le qualità di vita rese difficili dalla guerra, tesi a favorire il dialogo e la formazione dei giovani creando loro spazi e luoghi di incontro e aggregazione. Ai progetti hanno preso parte, anche economicamente, le comunità locali. E soprattutto la gestione dei singoli progetti (l’ospedale, il liceo, la scuola e il centro di Gerusalemme) saranno gestiti direttamente dai fruitori. Questo metodo di lavoro risponde a una scelta ben precisa: costruire ciò che serve, costruirlo dopo aver individuato chi lo può gestire nel quotidiano. Nessuna cattedrale nel deserto quindi e nessun progetto che non può poi camminare con gambe locali.
In questi ultimi anni la Fondazione ha realizzato tre progetti per un’unica comunità cristiana, divisa dal confine fra Libano e Israele. In Libano nella provincia di Tiro si è costruito un nuovo ospedale regionale e un liceo. Questa zona, secondo le Nazioni Unite, è una delle più povere e martoriate non solo del Libano ma dell’intero Medio Oriente. Il progetto dell’ospedale è realizzato insieme con la Diocesi cattolico-maronita di Tiro, nella città di Ain Ebel, situata proprio sul confine con Israele. La costruzione di questo ospedale vuole provare anche a invertire la tendenza che è avvenuta in questa zona, dove la popolazione ha abbandonato questa terra proprio per la mancanza di strutture ospedaliere. La struttura, che agirà su un bacino di circa 95.000 persone, avrà un pronto soccorso con diversi reparti (medicina generale, chirurgia generale e pediatrica, traumatologia generale e infantile, ostetricia e neonatologia). Sempre nella regione di Tiro, nel villaggio di Rmeich si sta realizzando un nuovo liceo. Si tratta di aggiungere un piano all’edificio esistente che ospita, in una situazione didattica molto difficile, il liceo della zona, gestito dalla Diocesi cattolico-maronita di Tiro. L’istituto è collegato al sistema scolastico libanese, pertanto beneficia, anche se con molta discontinuità e variabilità di risorse, delle provvidenze statali.
Sempre per la stessa comunità, ma all’interno del confine di Israele, a poche centinaia di metri si trova un altro intervento della Fondazione, nel villaggio di Tarshiha. Un piccolo villaggio di circa 4.400 abitanti, dove i cristiani sono la metà (1950 i cattolici e 250 gli ortodossi) i restanti sono musulmani.
Tarshiha è amministrativamente legata alla Municipalità di Maalot (città ebraica) formando un unico comune, tanto che i due comuni vengono considerati come l’unica realtà univoca in Israele di amministrazione congiunta arabo-ebraica. Purtroppo questa zona, per la sua vicinanza al confine del Libano, è stata l’epicentro di bombardamenti Hezbollah che hanno causato molti morti da entrambe le parti, distruzioni e danni ingenti. La comunità dedica molto impegno all’educazione dei giovani, cercando di frenare l’esodo dei cristiani che, anche se non come in Cisgiordania, inizia anche in Galilea. Per questo la nuova scuola di Tarshiha è inserita nel centro di attività sociali ed educative della Parrocchia, luogo di dialogo per cristiani, ebrei, musulmani e drusi di tutta l’alta Galilea. Sarà una scuola parificata, inserita e sostenuta dal sistema scolastico dello Stato di Israele. Oltre alla Fondazione ha contributo economicamente alla sua realizzazione la Chiesa Cattolico-melchita di Galilea (che poi ne sarà la proprietaria), oltre a tutta la comunità parrocchiale e dal lavoro volontario di molte persone del villaggio.
In Israele, a Gerusalemme è stato inaugurato la prima parte di un grande centro di aggregazione per l’educazione alla convivenza e alla pace, intitolato a Giovanni Paolo II nella parrocchia di Beit Hanina. Il progetto è finalizzato a un’ampia azione in favore dei bambini e ragazzi arabi di Gerusalemme, in particolare per l’educazione alla socialità, alla convivenza e alla prevenzione di fenomeni purtroppo diffusissimi nella parte araba della città santa, come la tossicodipendenza e la delinquenza minorile. I servizi del centro sono pensati per famiglie, ragazzi e bambini. «Siamo consapevoli – spiega mons. Giovannetti – di trovarci di fronte ad un percorso che per certi aspetti si presenta innovativo, o perlomeno non consueto nel mondo della cooperazione, e di avere la possibilità di offrire uno snodo importante che sia capace di recuperare l’incontro possibile e decisivo tra realtà religiose, politiche, civili e sociali dell’Area Mediorientale e non solo». L’ultimo progetto al quale la Fondazione sta lavorando è la costruzione della prima Clinica Chirurgica pediatrica a Betlemme. Un’opera importante alla quale la Fondazione sta lavorando con l’aiuto della Conferenza Episcopale Italiana, della Regione Toscana, dell’Ospedale Meyer di Firenze, della Unicoop Firenze e di molti privati.
Dove il cantiere è già aperto e i lavori stanno procedendo speditamente è nel cuore di Baghdad, dove la Fondazione e la Chiesa irachena stanno costruendo un centro per giovani, intitolato a Giovanni Paolo II. «Se penso – ha detto mons. Benjamin Sleiman, Arcivescovo dei Latini di Baghdad – alla prima volta che ne parlammo con mons. Giovannetti, non credevo proprio che in poco tempo riuscissimo a fare il progetto, trovare le imprese e iniziare i lavori. Ma devo ringraziare la Provvidenza che ha mandato la Fondazione Giovanni Paolo II. Quando il terreno è stato recintato e gli operai hanno iniziato, per tutti noi è stata una grande gioia. Ma non nascondo che sono stato preso anche dal panico. Intraprendere un così bel progetto in questi tempi bui, non sembra follia? Ma tutto sommato, abbandono tutto nelle mani della Provvidenza. In mezzo a tante difficoltà, vedere quel cantiere è stato ed è motivo di gioia e di speranza».
Share this content: