Toscana Oggi n.39 del 2 Novebre 2008
Speciale Fondazione Giovanni Paolo II
L’impegno per la costruzione dell’ospedale nel sud del Libano sta procedendo secondo i tempi prefissati, la scuola superiore sempre nel sud del Libano è stata completata, mentre è quasi ultimata la scuola nel villaggio di Tarshiha, nel nord di Israele. Le tre realizzazioni fanno parte di un unico grande progetto per l’antica comunità maronita e melchita che vive nel nord di Israele e nel sud del Libano. Fino a qualche decennio fa erano un’unica comunità, oggi vivono in modo separato. È una zona martoriata dalla guerra, “unita” nella sua sofferenza dalle bombe degli Hezbollaz che hanno colpito il nord di Israele sparando ripetutamente sul piccolo villaggio di Tarshiha e quello di Maalot. Le due comunità sono unite da vincoli di parentela e di amicizia, ma di fatto non possono né incontrarsi (la frontiera è chiusa) per parlare perché sono interrotte le comunicazioni (non funzionano né telefonini né internet) in quanto la zona è completamente schermata. Una situazione che ha aggravato la povertà. La zona del sud del Libano è, secondo l’ONU, una delle zone più povere di tutto il Medio Oriente.
La scorsa settimana, padre Rodolfo Cetoloni, vescovo di Chiusi-Pienza-Montepulciano e Angiolo Rossi sono andati a Beirut per rendersi conto degli avanzamenti dei progetti di Ain Ebel (dove sorgerà l’ospedale) e di Rmeisch (dove è stata ampliata la scuola). Abbiamo chiesto ad Angiolo Rossi, direttore della Fondazione di fare il punto sui due progetti libanesi.
A che punto sono i lavori?
«La scuola è stata raddoppiata, ora ospita oltre 400 ragazzi. Il liceo è gestito da una cooperativa, una delle poche formata da cristiani. Opera sotto la guida della diocesi Maronita di Tiro. L’intervento è costato circa 180.000 dollari, coperti per metà dal contributo della CEI dell’8 per mille. Un impegno importante, che si lega con quello della scuola in fase di realizzazione a Tarshiha. La scuola significa dare un futuro a questi ragazzi e a queste ragazze».
Sono passati pochi mesi da quando, sempre su Toscana Oggi, annunciavi il progetto.
«Sì, in pochi mesi il lavoro di ampliamento della scuola è stato realizzato non senza difficoltà. Ma grazie al contributo decisivo della Cei abbiamo portato a termine il progetto. Teniamo presente che siamo in una zona molto povera e disagiata, a poche migliaia di metri dal confine con Israele. La scuola è nella zona Hezbollaz, una realtà complessa che stenta a trovare una strada verso la normalità e la pace. La scuola è un elemento che certamente può contribuire a realizzare una integrazione e una convivenza pacifica fra le diverse componenti libanesi, in particolare in questa zona fra i cristiani e i musulmani».
Per l’ospedale i tempi si allungano …
«No, anche a Ain Ebel, 3 km da Rmeisch, stiamo rispettando i tempi che avevamo dato. Entro l’anno andiamo a gara per i lavori che potrebbero iniziare all’inizio del 2009. Sarà un ospedale pubblico, di 75 posti letto, dal pronto soccorso alla chirurgia. In una zona dove non ci sono presidi sanitari pubblici e dove gli spostamenti sono assai difficili a causa di una rete stradale ridotta assai male. Verrà ampliato in modo significativo il piccolo ambulatorio esistente».
L’ospedale sarà pubblico e quindi aperto a tutti?
«L’ospedale verrà gestito dalla comunità delle suore Vincenziane, che già lavorano nel piccolo presidio esistente. Ma sarà pubblico e inserito all’interno della sanità libanese. Il Libano è un Paese dove ci sono strutture sanitarie di altissimo livello che non hanno nulla da invidiare a quelle presenti in Europa e in Israele. Il problema è che sono private e quindi inaccessibili alla stragrande parte della popolazione povera del Paese. Inoltre l’ospedale darà lavoro, sia nella fase della sua realizzazione che poi nella gestione a molte persone. L’ospedale, a regime, aumenterà in modo significativo l’occupazione nella zona. Voluto dalla Diocesi maronita sarà aperto a tutti, e sarà certamente un altro elemento intorno al quale costruire il processo di pace».
Il Patriarca Maronita, cardinal Nasralh Sfeir, sta lavorando molto per la comunità libanese.
«La situazione nel sud del Libano è complessa e le fasce più povere della popolazione, cristiana e musulmana ne stanno pagando le conseguenze. La zona intorno all’ospedale è ancora piena di bombe che sono conficcate nel terreno o appese agli alberi. Molti ragazzi, mentre giocano, e contadini mentre lavorano rimangono uccisi o feriti dalle esplosioni. Per arrivare all’ospedale si deve fare un percorso preciso e obbligato, altrimenti c’è il rischio di saltare su una mina. Gli interventi che la Fondazione Giovanni Paolo II insieme alla chiesa Maronita, e nel nord di Israele a quella Melchita, stanno facendo sono finalizzati a migliorare la qualità della vita. Ecco il progetto dell’ospedale e delle due scuole. Sono piccoli progetti, ma voluti e realizzati insieme alle comunità locali e grazie al contributo decisivo della Chiesa Italiana e dei Vescovi toscani. In Libano non si deve aver paura di trattare con gli Hezbollaz, non si deve aver paura di incontrarsi con chiunque. Se si vuole realizzare un processo di pace nel Libano oggi è indispensabile mettere intorno a un tavolo tutte le diverse componenti politiche, culturali e religiose».
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