Toscana Oggi n.31 del 7 Settembre 2008
Speciale Fondazione Giovanni Paolo II
Verso la fine della scuola, durante una cena, i miei genitori mi hanno proposto di andare tre settimane a Betlemme, per studiare un po’ il mio inglese traballante e per lavorare dai francescani come cameriere.
L’idea mi è sembrata una punizione. Ho accettato però con una certa curiosità l’idea di andare in Palestina, di lavorare (mai fatto il cameriere) anche se la cosa mi sembrava complessa.
Lo scorso anno ero andato in Irlanda in un classico college sempre per migliorare l’inglese. Sono iniziate le mail per prendere i contatti con il responsabile di Casa Nova a Betlemme, padre Severino. Decisa la partenza e il rientro, acquistati i biglietti aerei, cambiati un po’ di soldi per le piccole spese (meglio gli euro che i dollari). E finalmente è arrivata la data della partenza.
Sono partito da solo da Verona e dopo i controlli di rito la sicurezza mi ha dato l’ok per imbarcami. Volo diretto. A Tel Aviv mi aspettava, così avevamo concordato via mail, padre Severino che non conoscevo. Sarebbe stato non solo il mio datore di lavoro, ma presto il mio migliore amico.
L’impatto con Betlemme, con il suo muro è stato sconvolgente. Ma non subito, bensì giorno dopo giorno, quel muro mi ha fatto capire l’isolamento e l’impossibilità degli abitanti di Betlemme nell’entrare e uscire dalla loro città. Necessario, forse, per la sicurezza, è una barriera che toglie ogni movimento. A me e a chi possiede un pass entrare e uscire non è un problema, ma per quasi tutti gli abitanti, anche per i giovani entrare e uscire è spesso impossibile.
Andare a Gerusalemme, al mare, incontrare amici è per i giovani di Betlemme impossibile. Ero alloggiato a Casa Nova (il grande albergo per pellegrini di Betlemme). Spesso molte camere erano libere, perché i pellegrini preferiscono andare a dormire a Gerusalemme, ma non a Betlemme. Con Padre Severino ho visitato la Palestina e Israele. Ogni tanto, quando arrivavano i gruppi di pellegrini mi sono cimentato anche nel lavoro di cameriere. Per fortuna aiutato dai ragazzi palestinesi. Ho scoperto pellegrini molto esigenti, che forse non si rendevano conto fino in fondo della fortuna di essere a pochi passi da dove è nato Gesù. Ho scoperto che i ragazzi e le ragazze palestinesi sono cordiali e amichevoli, completamente diversi da quelli che i telegiornali ci raccontano.
I giorni, a parte i primi, nei quali ho pensato seriamente di tornare subito a Firenze, sono volati. Padre Severino pianificava le visite nelle diverse città tenendo conto degli impegni di lavoro a Casa Nova. I miei impegni di lavoro si sono rivelati assai contenuti e così ho potuto scoprire la Terra Santa, nella quale non ero mai stato.
Vorrei ringraziare oltre a padre Severino, anche Susy (la manager di Casa Nova), Issa e tutte le persone che con il loro lavoro quotidiano mi hanno aiutato così come aiutano i pellegrini nei loro soggiorni.
Matteo
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