“Conversazioni” è la rubrica del magazine della Fondazione Giovanni Paolo II che raccoglie punti di vista su temi di attualità, società, economia e cultura. L’obiettivo è offrire uno spazio di dialogo aperto a tutti dove ognuno è libero di esprimere le proprie idee.
Mi chiamo Christine, sono palestinese, nata e cresciuta a Betlemme. Qualche anno fa sono arrivata in Italia per continuare gli studi e partecipare a un progetto legato alla gestione del conflitto e la costruzione della pace. Ho partecipato a questo progetto perché credevo e credo ancora che si possa costruire la pace in Palestina, ma per fare la pace prima deve essere fatta giustizia.
Ho vissuto guerre da quando ero bambina, ho visto la sofferenza, la tristezza, la rabbia, la resistenza e la forza del mio popolo. Ricordo vivamente la seconda intifada e l’inizio della costruzione del muro di apartheid. Ho vissuto l’occupazione israeliana e l’assenza di libertà che questa ha causato. In Palestina dire che non c’è libertà non è retorica, è realtà. Non possiamo muoverci in autonomia da una città all’altra senza il permesso di Israele. Non possiamo percorrere tutte le strade perché alcune sono riservate agli israeliani e se, anche per sbaglio, un palestinese percorre una strada israeliana o si avvicina ad una colonia rischia serie conseguenze.
Sia a Gaza che in Cisgiordania il controllo dell’acqua e dell’elettricità è del governo israeliano e anche prima dell’attuale guerra poteva capitare che le forniture venissero interrotte. Chi è stato in Palestina avrà notato tante cisterne sui tetti delle case: ecco, servono proprio per quando Israele ci toglie l’acqua. Per andare a Gerusalemme noi palestinesi dobbiamo avere un permesso da Israele. Per prendere un aereo dobbiamo andare in Giordania affrontando un viaggio che può durare anche un giorno, perché non abbiamo più il nostro aeroporto che era a Gaza.
Israele da decenni sta portando avanti la colonizzazione che non è altro che la polverizzazione dei territori palestinesi mediante l’occupazione con nuovi insediamenti che sono considerati illegittimi anche dalla comunità internazionale. Muoversi anche per pochi chilometri può essere davvero complicato. A Gaza la situazione umanitaria e la limitazione delle libertà personali è ancora molto più grave, visto che è sotto assedio da più di 15 anni. Per chi non è stato in Palestina è difficile capire.
Ed eccoci di fronte a un’altra guerra, con una violenza che non si vedeva da secoli. Questa volta non sono dentro la mia città che è circondata dal muro. Non mi sento in pericolo fisicamente ma sono devastata dalle notizie che arrivano. Sono preoccupata anche per la mia famiglia.
Le immagini e i video che vediamo sono crudeli. Tanti riguardano bambini. Sapete cosa vuol dire bombardare scuole, moschee, chiese, ospedali? Vuol dire non considerare minimamente i diritti umani e il diritto internazionale. La violenza va sempre condannata. Quello che sta succedendo non è giusto né umano, ci sono tantissime vittime. Non bisogna pensare però che le persone siano disposte a una sopportazione illimitata. Da più di 75 anni i palestinesi stanno soffrendo senza che nessuno abbia fatto qualcosa di concreto per far sì che Israele rispetasse le risoluzioni della comunità internazionale. Questo ha generato negli israeliani un senso di impunità che non li ha mai fatti arretrare. Ora tutti condannano Hamas per l’attacco ad Israele senza però considerare tutto quello che il popolo palestinese ha subito e che sta subendo. Ritengo doveroso precisare che essere palestinese non vuol dire essere con Hamas. Essere palestinese non vuol dire essere antisemita, significa essere contro lo stato sionista e l’occupazione. Essere palestinese vuol dire lottare per la libertà.
Vivendo in Italia vedo le notizie che sono diffuse in Occidente e vedere come la narrazione della vicenda sia palesemente in favore di Israele mi riempie il cuore di rabbia. Rabbia perché gran parte del giornalismo è asservito alla politica che se ne serve per condizionare l’opinione pubblica. Purtroppo tante persone si fermano a quello che i media tradizionali raccontano; invito tutti a verificare le notizie che circolano anche se non sarebbe il compito di noi cittadini. Sta avvenendo il fenomeno dello shadowban, che consiste nell’oscurare profili, post e storie che raccontano quello che sta accadendo in Palestina, in particolare a Gaza. In Cisgiordania vengono arrestate persone perché pubblicano contenuti nei propri social che fanno vedere la realtà di questi giorni in Palestina. C’è la chiara volontà di nascondere i fatti.
Dopo ben due settimane dall’inizio dei bombardamenti su Gaza, Israele ha consentito l’ingresso di venti camion di aiuti umanitari. Purtroppo tali aiuti non bastano a coprire il fabbisogno neanche di una minima parte della popolazione. In gran parte si trattava di cibo, medicine e teli bianchi per i cadaveri.
Con piacere vedo che ci sono manifestazioni in tutto il mondo per chiedere giustizia e la liberazione della Palestina, anche da parte di ebrei e israeliani che non condividono le azioni del governo israeliano. La voce del popolo palestinese è forte ed è arrivata oltre il muro ma da sola non basta. Voglio credere che prima o poi ci sarà la pace in Palestina ma non accetto che questa avvenga attraverso l’eliminazione sistematica e graduale del mio popolo dalla faccia della Terra.
Spero che le violenze finiscano presto e che non succeda niente di male alla mia famiglia. Già so che ci vorrà molto tempo per riprendersi perché la situazione di tante famiglie, sia sotto il profilo sanitario sia economico, si aggrava di giorno in giorno. Spero che almeno tutto questo porti alla conquista dei diritti fondamentali per i palestinesi. Non nascondo che nello scrivere queste righe temo anche per eventuali ripercussioni da parte di Israele quando tornerò in Palestina ma credo che sia mio dovere, per quanto possibile, dare il mio punto di vista. Con queste parole non voglio suscitare compassione ma stimolare ad approfondire questi temi.
Non ci sarà pace senza la liberazione del popolo palestinese.
Firenze, 25 Ottobre 2023
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