L’appello alla fraternità del Consiglio dei giovani del Mediterraneo con i rappresentanti dei due popoli in guerra. «L’incontro fra nemici è possibile: i leader del mondo scelgano di parlarsi»
Giacomo Gambassi, sabato 21 ottobre 2023
Fianco a fianco. Israeliani e palestinesi. Nonostante i raid, gli attentati, la sofferenza e la sete di vendetta. C’è una palestra di fraternità dove quelli che la geopolitica chiama “nemici” si incontrano, dialogano e soprattutto sono pronti a farsi «ponti tra le persone, i popoli, le nazioni», scrivono. Utopia? No, scelta profetica di chi vuole andare oltre i muri e le frontiere costruite dalla storia. È il Consiglio dei giovani del Mediterraneo, il piccolo Sinodo permanente, tutto laico e under 35, voluto dalla Cei che dallo scorso luglio riunisce 37 ragazzi di diciotto Paesi affacciati sul grande mare. Fra loro anche i rappresentanti delle due terre su cui sono tornati a cadere i razzi, a infiltrarsi i terroristi, a muoversi gli eserciti. «Siamo in costante contatto con i nostri amici del Medio Oriente – racconta Pilar Shannon Perez Brown, 25 anni, spagnola, che fa parte del direttivo -. Sono fortemente provati. Noi li sosteniamo unendoci a loro nella preghiera». Come chiede papa Francesco.
Tutti insieme, come “ambasciatori” di un Mediterraneo nuovo e riconciliato, firmano l’appello giovane per far tacere le armi. «Il nostro cuore si spezza ogni volta che sentiamo parlare di guerra, in qualsiasi parte del mondo, ma soprattutto nel bacino. Invochiamo la pace per tutti i conflitti in corso, appellandoci alla buona volontà dei popoli e dei governi». Quindi il richiamo all’impegno che li accomuna nella consulta nata come eredità dell’incontro di vescovi e sindaci del Mediterraneo a Firenze nel febbraio 2022. «Crediamo nella pace e nel dialogo e, come Consiglio, desideriamo la loro promozione. Condanniamo fermamente qualsiasi uso della violenza, inadatta a risolvere i conflitti e generatrice solo di odio. Mai nessuna guerra ha posto fine ad altre guerre». Poi il grido di dolore per la Terra Santa. «La guerra e le uccisioni da entrambe le parti, che gravano peraltro sui civili, sui più deboli, sui bambini, sugli indifesi, non risolveranno mai il problema storico, fratricida, della terra di Abramo». I giovani delle diverse sponde chiedono «ai leader politici di scegliere coraggiosamente la via del dialogo, di favorire la giustizia che porta la pace» e alla comunità internazionale «di porre le basi per una convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani, attraverso gli strumenti della diplomazia».
A ispirare il loro sogno e la loro azione è Giorgio La Pira, il sindaco “santo” della città che ospita la sede dell’organismo: Firenze. Un progetto che la Cei ha affidato a quattro realtà toscane che si richiamano all’attenzione verso il Mediterraneo dell’ex padre costituente: la Fondazione Giorgio La Pira, l’Opera per la gioventù Giorgio La Pira, il Centro internazionale studenti Giorgio La Pira e la Fondazione Giovanni Paolo II, onlus per lo sviluppo e la cooperazione nei Paesi più fragili. Sui suoi passi i ragazzi si propongono come mediatori dal basso per avvicinare i coetanei in conflitto. «Possiamo ospitare iniziative di riconciliazione che possano incentivare il dialogo, l’ascolto, la reciproca conoscenza delle proprie ragioni, l’amicizia tra i giovani dei due popoli», evidenziano nel loro testo.
La Chiesa italiana è accanto a questo laboratorio di speranza. «Di fronte a tragedie che sembrano impossibili da superare o a lotte intestine che durano da decenni abbiamo giovani che hanno il coraggio di dire: “Noi ci siamo” – afferma il sottosegretario della Cei, don Gianluca Marchetti -. Le cancellerie guardano agli interessi degli Stati e la politica cavalca i malumori delle masse. Le nuove generazioni, invece, ci ripetono che non possiamo arrenderci alla violenza e alla malvagità, che i pregiudizi possono essere vinti, che le ferite vanno riconosciute ma non è bene fermarci ad esse, che la giustizia è importante ma la misericordia è più grande».
Le rive del Mediterraneo le hanno già unite. Come anche i tre continenti da cui arrivano: Europa, Asia e Africa. «Il Consiglio – sottolinea Pilar – è un esempio di dialogo tra donne e uomini che appartengono a realtà marcate anche dagli scontri. Intendiamo essere antidoti alle crisi nelle nostre società, nei nostri gruppi, nelle nostre famiglie. E vogliamo essere messaggeri di riconciliazione per il mondo politico. Favorire la pace e la giustizia tra le nazioni che sono solitamente etichettate come antagoniste è la missione che ci accomuna». Intorno a un’agenda chiara. «Quattro sono i pilastri – riferisce la consulente risorse umane che rappresenta la Spagna nell’organismo -: l’istruzione, che è una formidabile risposta all’odio, l’educazione alla fede, l’impegno civico, lo scambio di esperienze con un approccio ecumenico e interreligioso». Sanno i ragazzi che chi ha in mano le sorti del pianeta spinge sull’acceleratore delle tensioni. «I leader mondiali hanno fallito. Hanno abdicato a ogni sforzo per prevenire le guerre. Abbiamo necessità di governanti che aprano nuove strade e che abbiano la forza di parlarsi faccia a faccia senza nascondersi dietro le bombe o la propaganda». Sul modello del Consiglio dei giovani, scuola di diplomazia popolare nel quotidiano.
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