Il maronita Emile: siamo tutti vittime di scontri economici e geopolitici, non di civiltà
di Giacomo Gambassi, inviato a Firenze
A Giorgio La Pira sarebbe piaciuto Emile Fakhoury. Perché a 24 anni crede nella politica e ne parla con passione. Nonostante nel suo Paese, il Libano, l’immobilismo politico e i partiti autoreferenziali abbiano scatenato proteste di piazza a più riprese e siano finiti sul banco degli imputati per il tracollo economico che sta mettendo in ginocchio l’ex “Svizzera del Medio Oriente”. «Il Mediterraneo, compreso il Libano, è stato ed è testimone di molte sofferenze e divisioni – racconta –. Noi giovani siamo chiamati a impegnarsi sul fronte politico e così agire sui processi decisionali. Ad esempio, possiamo svolgere un ruolo importante nella progettazione di nuove politiche che rilancino le economie dei Paesi del sud della regione, che abbiano al centro l’uguaglianza sociale, che aiutino la gente a restare nelle proprie terre e non a fuggire per lasciarsi alle spalle guerre e povertà».
È cattolico maronita, Emile. Come dice il suo percorso di studi all’Università dello Spirito Santo di Kaslik, vicino a Beirut, dove si è laureato in cinematografia. Esperto di media, ha lavorato per una serie di organismi ecclesiali come Missio Svizzera e YouCat Germania, il catechismo “giovane” della Chiesa cattolica. Ma ha anche curato alcune campagne per la municipalità di Bsharre, cittadina nel nord del Paese che lega il suo nome alla millenaria foresta dei cedri del Libano celebrati nella Bibbia. Fede, comunicazione e vocazione politica fanno parte del bagaglio con cui Emile è arrivato a Firenze per l’esordio del Consiglio dei giovani del Mediterraneo. «Ciò che sta accadendo nel bacino non è una guerra di matrice religiosa o uno scontro di civiltà. Ma è un conflitto economico e geopolitico crudele e senza cuore che cavalca le paure e le insicurezze delle persone. Perciò sostengo che la pace non va ritenuta un’utopia e può essere costruita tenendo conto della geografia e della storia che condividiamo». Come direbbe il sindaco “santo” che ha ispirato l’organismo voluto dai vescovi. Unire le sponde partendo dai popoli. «I miei coetanei che abitano la riva nord – afferma Emile – hanno un compito cruciale verso chi vive nei Paesi del versante orientale o meridionale: aiutare a cambiare certe dinamiche politiche nei confronti delle altre nazioni, incoraggiare l’integrazione dei rifugiati, incentivare colloqui di pace. Tutte azioni che possono fare molto per instaurare la giustizia e alimentare l’armonia».
Una sinergia di prossimità che la comune appartenenza alla Chiesa cattolica può incentivare. «È la nostra unione che ci rende più forti di fronte alle tante sfide del Mediterraneo, mentre le tensioni e le divisioni storiche minano la credibilità dei cristiani. Questo ci fa chiedere ulteriori sforzi». Una pausa. «L’idea di partire dai giovani per avvicinare le Chiese è interessante. Cominciamo dalle nuove generazioni per tessere relazioni che avranno un riflesso sia ecclesiale, sia civile». Poi Emile torna con la mente al suo Paese. «Il Libano è una nazione con una resilienza vigorosa. Come sosteneva Giovanni Paolo II, è un “Paese messaggio”, ossia mostra che la fraternità e la convivenza fra cristiani e musulmani sono possibili. Abbiamo alle spalle una storia di continue persecuzioni e oppressioni. E l’eredità dei martiri ha consolidato la nostra fede».
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