In una valle segnata dal conflitto arabo-israeliano, una Fondazione aretino-fiorentina promuove la coltivazione di frutta. E continuerà a farlo anche dopo la terribile deflagrazione
5 Agosto 2020
“In Libano c’è un’importante comunità italiana molto attiva nella cooperazione, le Ong nel Paese sono numerose e ben strutturate” racconta Stefano Baldini, il cooperante fiorentino sopravvissuto per miracolo all’inferno scatenato a Beirut dall’esplosione che ieri, martedì 4 agosto, ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti e dispersi.
Il cooperante si trovava nel suo ufficio, nel seminterrato del convento francescano di San Giuseppe, quando è avvenuta la deflagrazione. È vivo per miracolo, sta per rientrare in Italia ma già non vede l’ora di poter tornare in Libano, per continuare il suo lavoro. Ma cosa sta facendo il cooperante nel Paese del vicino oriente?
“Lavoro per la Fondazione Giovanni Paolo II, attualmente stiamo svolgendo due programmi di sviluppo rurale nella Valle della Beqa’, tristemente nota per il conflitto arabo-israeliano – spiega Baldini -. Si tratta di un altipiano fertile, nell’interno, tra due catene montuose”.
I programmi della Fondazione, aggiunge, “Si concentrano sulla filiera della frutta: siamo partiti coltivando ciliegie e albicocche, ora ci stiamo espandendo con altri prodotti”.
“Lo scopo è sviluppare e professionalizzare le coltivazioni ma anche realizzare infrastrutture e curare gli aspetti commerciali, l’export. Senza dimenticare la sostenibilità, ad esempio promuovendo la riduzione dell’uso dei pesticidi. Un progetto bellissimo”.
“In quanto italiani, bisogna essere orgogliosi di questi programmi – aggiunge -, perché sono finanziati dall’Italia col nobile obiettivo di creare lavoro ma anche infrastrutture in un grande Paese, qual è il Libano, che sta soffrendo terribilmente”.
Una sofferenza nata dalla crisi economica: “I cittadini libanesi sono in ginocchio, in poco tempo hanno perso il 75% del loro potere di acquisto, la moneta locale è crollata, gli stipendi non bastano più” spiega il cooperante.
E pensare che qui, sottolinea Baldini, “C’era una borghesia di tutto rispetto che però ora sta morendo, una middle-class del tutto simile a quella europea che sta scomparendo. A me basta guardare i miei vicini: famiglie normali, gente che lavora. Né ricchi né poveri. Ora però stanno affondando, impoverendosi sempre più”.
Sulla crisi economica, poi, si è innestata quella sanitaria, il maledetto Covid-19: “L’epidemia all’inizio era ben contenuta, avevamo misure rigide, scuole chiuse, poi il Governo ha agevolato i rientri dall’estero. E in poche settimane siamo passati da 10 a 100 nuovi casi positivi al giorno. Da 1.000 ora siamo a circa 6.000 contagiati totali”.
E ora, in più, è intervenuto pure il disastro dell’esplosione. “Credo più alla disgrazia che all’attentato. L’incendio dovrebbe essere partito da alcuni lavori con la fiamma ossidrica, usata per tappare un buco in un container. Da lì sembra che siano nate le esplosioni di nitrato d’ammonio ed è avvenuta la catastrofe”.
Che fare, ora, per non far precipitare il Libano nel caos? “La comunità internazionale deve muoversi subito – ingiunge Baldini – questo è un Paese piccolo ma importantissimo per gli equilibri nell’area. E non dimentichiamoci dei 2 milioni di rifugiati siriani e palestinesi che sono qui”.
E lo sviluppo rurale della valle della Beqa’ ad opera della toscanissima Fondazione Giovanni Paolo II? “Continuerà, non c’è dubbio. Il progetto va avanti” assicura Baldini.
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