Trasportano gli aiuti nel Paese e altre famiglie raggiungono le aree di guerra. Volontari: “Partenze ogni 15 giorni”. Mamma sceglie di restare: “I miei sono qui”
Arezzo, 11 aprile 2022 – Hanno portato soccorsi anche al canile di Užhorod, la cittadina a ridosso dei Carpazi diventata il loro trampolino di lancio per l’Ucraina. Ci sono cani gravemente feriti, arrivati dalle zone più bersagliate, uno ha la mandibola a pezzi: e la “coperta” aretina è arrivata fino a loro. Una coperta lanciata dalla Fondazione Giovanni Paolo II ma innervata di volontari: che qui lavorano pancia in terra a raccogliere aiuti. E poi partono. “In Ucraina ci dicono che non sono in tanti a curare personalmente le consegne” spiega Andrea Verdi, che della Fondazione di Pratovecchio è il presidente.
Finora si erano spinti prima con un camper e poi con un pulmino in quell’area dei Carpazi. Ora hanno trovato il modo di raggiungere la vera “trincea”. “I nostri aiuti sono arrivati anche a Bucha e Mariupol”. La linea è semplice per quanto difficilissima da attuare. Dalle zone critiche arrivano richieste specifiche di tutti i tipi. Perché lì le famiglie vivono a tempo pieno nei rifugi e la spesa la fai male.
Quindi? A Užhorod il pulmino viene svuotato e gli aiuti organizzati secondo i bisogni di chi deve essere raggiunto. “Poi partono i volontari della rete di sostegno ucraina: in macchina si spingono dappertutto”. Ma in questo caso ci sono volute fino a 22 ore di strada, per arrivare a destinazione. Quasi il doppio del tempo che il mezzo mobile della Fondazione impiega per arrivare ai confini dell’Ungheria e poi dell’Ucraina. “Stavolta – racconta Riccardo Mendicino – il pulmino era più stabile del camper, specie in fase di sorpasso: e abbiamo fatto prima”.
Erano partiti alle 8 da Arezzo, per arrivare in nottata proprio in Ucraina. “A quel punto – riprende Verdi – ci siamo divisi. Io e un volontario siamo andati a Leopoli, Riccardo è rimasto ad Užhorod”. Qui decine di famiglie vivono insieme in una casa grande per attutire gli effetti della guerra. A Leopoli il clima per ora è tranquillo. “In giro avverti la tensione però siamo lontani da una situazione di guerra”.
Come già la Misericordia, i cui aiuti il gruppo aretino ha visto arrivare nel centro, sono stati stretti rapporti con le autorità religiose e con quelle civili. Maria, la ragazza ucraina che vive qui e ha contribuito in maniera decisiva a tirare la rete di aiuti, è determinante, anche come interprete. Ma il resto comincia a girare a puntino.
“Le richieste sono tante e diverse: nel grosso del Paese i vestiti non servono, nell’area di Kiev sì”. Da qui l’idea di personalizzare gli invii. “La nostra è una goccia nel mare, ce ne rendiamo conto: però proviamo almeno a mandarla a bersaglio”. E soprattutto a mandarcela spesso.
“In teoria ci vorrebbe una partenza alla settimana, noi speriamo di riuscire a garantirne una ogni quindici giorni. Ma stavolta con almeno due furgoni”. La famiglia che dovevamo riportare indietro è rimasta in Ucraina. Il bambino non sta bene ma avrebbe sostenuto il viaggio: ma la mamma ha preferito di no. “Qui abbiamo tutti i nostri cari”. Ma dalla prossima spedizione qualcuno tornerà. La fuga resta di donne e bambini, gli uomini sono mobilitati dall’esercito. “Entrando abbiamo incrociato 25 pullman diretti in Ungheria”. In ogni pacco i bambini del casentino mettono un disegno con la bandiera o un cuore con i colori ucraini. E anche lui zitto zitto supera la frontiera e viene attaccato alle pareti dei rifugi.
Alberto Pierini
Share this content: