A San Frumenzio l’incontro organizzato a un anno dalla beatificazione dei 19 religiosi uccisi durante la guerra civile. Tra loro, il vescovo di Orano Claverie, assassinato con il suo autista musulmano
di Roberta Pumpo, 10 Dicembre 2019
Martiri del dialogo, della comunione e della fratellanza, «il cui sangue versato è inscindibilmente legato a quello di Gesù». A un anno dalla beatificazione, così il vescovo incaricato del Centro diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese Gianpiero Palmieri ha ricordato ieri sera, lunedì 9 dicembre, i 19 martiri di Algeria – 13 religiosi e sei religiose appartenenti a otto congregazioni differenti -, assassinati in circostanze diverse tra il 1994 e il 1996 durante la guerra civile. Tra loro monsignor Pierre Claverie, dell’ordine dei frati predicatori, vescovo di Orano, assassinato il 1° agosto 1996 con il suo autista musulmano di 22 anni, Mohamed Bouchikhi, e i sette monaci di Tibhirine, dell’ordine Cistercense della stretta osservanza, i cui resti furono ritrovati il 25 maggio 1996, due mesi dopo il rapimento.
“La nostra morte non ci appartiene”: questo il tema della serata – tratto dal testamento spirituale del frate trappista Christian de Chergé -, svoltasi nella parrocchia di San Frumenzio, organizzata con il sostegno del Centro missionario diocesano di Roma dal Gruppo Nuovi Martiri, costituito dalle associazioni Archè, Finestra per il Medio Oriente, Fondazione Giovanni Paolo II per la cooperazione e lo sviluppo, parrocchie Sant’Innocenzo I Papa e San Guido vescovo e dalla Comunità Missionaria di Villaregia. L’incontro ha messo in evidenza la missione profetica dei martiri di Algeria che hanno testimoniato con la propria vita la possibilità di promuovere un dialogo pacifico e fraterno tra cristiani e musulmani nella certezza di essere amati da un unico Dio. Emblema della beatificazione è, infatti, il sangue di monsignor Claverie, cristiano, unito a quello di Mohamed, musulmano, e il frutto del loro martirio è l’amicizia che oggi lega la sorella del primo con la madre del giovane.
Thomas Georgeon, postulatore della causa di beatificazione, che prima dell’incontro ha presieduto la celebrazione eucaristica, si è soffermato sulla scelta dei religiosi di voler rimanere in Algeria, all’epoca devastata dalla guerra, per manifestare la carità fraterna a un popolo dilaniato dalla violenza. Il martirio dei diciannove «servitori zelanti, appassionati dell’Algeria e del suo popolo – ha detto – parla a nome delle decine di migliaia di algerini musulmani vittime dell’odio, tra i quali ci sono 114 imam». Pagare con la vita il rifiuto di trasgredire le prescrizioni della propria religione unisce «nel mistero Pasquale di Cristo il mistero di chi ha dato la vita per la fede, anche quello dei fratelli musulmani», ha aggiunto Palmieri, che ha invitato i tanti laici e religiosi presenti all’incontro a «prendere molto sul serio» il paragrafo 21 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo “Gaudium et spes”, il quale si sofferma sul compito della Chiesa di diffondere il Vangelo con una «fede viva e adulta» come hanno dato «testimonianza sublime moltissimi martiri». Attraverso la via del martirio, ha aggiunto il vescovo, è «bellissimo comprendere le vie sorprendenti e misteriose con cui Dio realizza il suo Regno».
Ambrogio Bongiovanni, docente alla Pontificia Università Gregoriana, ha letto alcuni stralci del testamento spirituale di padre Christian de Chergé dalle cui pagine emerge la «missione profetica» del religioso, «costruita su un dialogo profetico e profondo in una situazione di conflitto. A volte – ha aggiunto – ci sono ostacoli che scoraggiano al dialogo con l’Islam ma la profezia sta proprio nel lavorare quando si pensa non ci sia nulla da fare e quando la ragione spinge a compiere scelte diverse». I martiri d’Algeria hanno «scelto la strada meno comoda, sono andati contro corrente per fare la volontà di Dio».
Share this content: