di Renato Burigana
Sorge nel sud del Libano, a oltre due ore di macchina da Tiro, e servirà decine di villaggi e piccole città adagiate nelle valli o arroccate sulle montagne, il nuovo ospedale di comunità realizzato dalla Fondazione Giovanni Paolo II nella città di Ain Ebel. In una zona di montagne, a prevalenza Hezbollah, senza alcun presidio medico chirurgico, questa realizzazione per le persone che vi abitano è attesa come un grande evento. Anche Sua Beatitudine, Bèchara Rai Patriarca di tutti i Maroniti è salito fin quassù sulle montagne per vederlo durante la sua visita pastorale e ha voluto così ringraziare mons. Luciano Giovannetti per il suo impegno nella realizzazione. Sessanta posti letto, due sale operatorie, due posti di rianimazione, due piani fuori terra e un seminterrato costituiscono la struttura dell’ospedale “Giovanni Paolo II”. L’ingegner Alessandro Bartolini, che segue la costruzione per conto della Fondazione, è soddisfatto di come procedono i lavori. “Ora siamo a buon punto, entro la prossima estate sarà ultimato e dopo dovremo riempirlo con le attrezzature mediche”. In effetti, durante il sopralluogo in cantiere l’impres-sione che si ha è che in pochi mesi i lavori termineranno. Già ci sono gli stipiti delle porte e stanno predisponendo la posa dei pavimenti. “Lo abbiamo realizzato – prosegue Bartolini – mettendo in pratica tutti gli standard più moderni. Ci sono ampli spazi, grandi finestre, terrazze e c’è il collegamento con il piccolo presidio sanitario delle Suore. Così che saranno non due, ma un solo corpo sanitario”.
“Dall’inizio alla fine abbiamo la Provvidenza che ci guida – spiega mons. Chukrallah Hage, arcivescovo di Tiro dei Maroniti , che ci accompagna nella visita al cantiere – e mai la Provvidenza ci ha lasciato. Da quando è stato beatificato Giovanni Paolo II, questo ospedale sarà il suo secondo miracolo”.
L’Ospedale è stato costruito in cima alla collina, adiacente a un piccolo presidio sanitario gestito dalle Suore di S. Vincenzo de’ Paoli che qui, da anni, vivono condividendo gioie e sofferenze della popolazione. Siamo a pochi kilometri in linea d’aria dal confine con Israele, oggi la frontiera è chiusa. In una zona che ha visto e vissuto la guerra del 2006, quella nella quale l’aviazione israeliana distrusse tutti i 156 ponti delle strade libanesi. Anni di sofferenza e poi di dura ricostruzione. Il Libano è attraversato da molti corsi d’acqua e distruggere i ponti costringeva a lunghi giri per gli spostamenti in auto. Inoltre Tiro, la capitale del sud del Libano, è la città più povera dell’intero Paese, nonostante potrebbe diventare grazie al mare e alle rovine romane (qui c’è ancora il più grande ippodromo dell’epoca romana) meta di turismo. Ma spesso chi viene in Libano si ferma a Beirut o al massimo si spinge nella valle della Bekaa, per visitare le rinomate cantine di vini esportati in tutto il mondo o gli scavi archeologici di Baalback.
Qui nel piccolo villaggio di Ain Ebel l’ospedale rappresenta una speranza concreta per vivere meglio, ci spiegano le suore. Un’occasione di lavoro, oggi per gli operai, domani quando sarà aperto per medici e infermieri. Ma soprattutto la possibilità di non morire più causa il lungo e tortuoso tragitto per arrivare all’ospedale di Tiro. E’ per questo che salutandoci il vescovo Chukrallah Hage ci chiede di ringraziare “Abuna Giovannetti per quello che ha fatto e che sta facendo. La sua opera incarna quotidianamente quella Provvidenza di cui tutti abbiamo tanto bisogno”.
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