di Luca Geronico (pubblicato su Avvenire)
Due popoli, due Stati. È il ritornello di chi spera ancora nella pace in Medio Oriente. Ma il filosofo Sari Nusseibeh, presidente della Al-Quds University di Gerusalemme ed ex rappresentante dell’Anp per Gerusalemme – ieri ospite all’Aseri di Milano – nel suo ultimo libro (What is a Palestinian State worth? , non ancora tradotto in Italia) fatti i conti con la realtà invita a cambiare radicalmente prospettiva.
Abu Mazen sta chiedendo il riconoscimento della Palestina all’Onu, lei provocatoriamente sostiene che non può essere questa la soluzione. Perché?
«Se nascerà uno Stato palestinese, sarà grandioso, un atto giusto. Ma considerando che noi palestinesi siamo stati per quarant’anni sotto occupazione senza avere uno Stato, come possiamo aspettarci che questo avvenga entro la fine dell’anno? Forse dobbiamo iniziare a pensare una differente soluzione per il nostro futuro. Questo si rende necessario perché da un lato, a partire dagli accordi di Oslo del 1993, abbiamo avuto dei negoziati lunghissimi, farraginosi e in gran parte infruttuosi, mentre dall’altra parete, sul terreno, abbiamo avuto più insediamenti e sempre più gente senza diritti e nell’impossibilità di avere uno Stato. Insomma, viviamo in una sorta di “limbo”: noi non godiamo dei pieni diritti politici nel nostro Stato perché questi, ci dicono, ci saranno riconosciuti nel nostro futuro Stato che appunto non arriva mai. In questo limbo la soluzione potrebbe essere allora quella di iniziare a pensare non a come divorziare, ma a come costruire un matrimonio: due popoli in un solo Stato, appunto».
Una bella teoria. Ma come giungervi concretamente, professor Nusseibeh?
«La possibilità è fornita concretamente dalla situazione che già si vive nella nostra terra: la popolazione israeliana vuole vivere con una sorta di indipendenza dai palestinesi e lo stesso pensano gli abitanti dei Territori arabi occupati. La soluzione politica potrebbe essere quella di una federazione con un sistema politico molto aperto. Per intenderci non una federazione sul modello degli Stati Uniti, ma una federazione simile al disegno dell’Unione Europea. Un sistema che permetta ai popoli delle due parti di avere accesso all’intero spazio fisico godendo dei diritti civili fondamentali: movimento, lavoro, trasporto di capitali. Un tedesco può viaggiare in Francia e uno spagnolo investire e fare affari in Italia. Quello che propongo in Palestina è uno spazio aperto per i due popoli ma con due governi politici separati, uno per gli arabi- palestinesi e uno per gli ebreiisraeliani con due affiliazioni politiche, due passaporti, due bandiere ma condividendo uno stesso territorio. Un sistema federale che in futuro potrebbe addirittura pensare di integrare in un grande Medio Oriente anche la Giordania, il Libano, la Siria».
Un progetto ambizioso, quasi visionario. Non è una bocciatura implicita del tentativo di Abu Mazen di raggiungere un riconoscimento ufficiale della Palestina?
«Abu Mazen è stato uno dei primi sostenitori della necessità dei due Stati. Ha speso la sua vita politica per questa idea, anche quando era in minoranza nell’Olp: un tentativo segno di coerenza ».
Share this content: