Marco Bontempi (Firenze)
Una riflessione sulle condizioni sociali del dialogo ecumenico e interreligioso deve, per quanto brevemente, considerare l’impatto sulle forme di declinazione dell’identità religiosa di alcuni processi di mutamento che attraversano le società contemporanee. In particolare, una condizione importante è l’esistenza di un sistema pluralistico di valori che si lega con una trasformazione delle condizioni di vita e di esperienza sociale che gli individui fanno. In questo senso i cambiamenti che investono in senso sociologico l’elaborazione dell’identità e delle forme di appartenenza religiosa devono essere messi in relazione con i cambiamenti della struttura sociale.
Riflettere sulle condizioni sociali del dialogo interreligioso nel mediterraneo in questi primi mesi del 2011 significa soprattutto cercare, nelle intense e epocali trasformazioni in atto nei paesi della riva sud, alcuni elementi e segnali generati dalle trasformazioni sociali degli ultimi decenni che possano indicare un possibile percorso nel prossimo futuro. Sicuramente uno di questi è dato dalle condizioni dello sviluppo dell’importanza della religione nella vita delle persone, soprattutto giovani, in associazione con i processi di modernizzazione in atto in questi paesi.
In queste brevi note cercherò di evidenziare, da un lato, alcuni importanti aspetti della logica sociale dello sviluppo del pluralismo nelle forme di identità religiose, presenti ormai in modo stabile nella nostra società, dall’altro lato cercherò di mettere in luce come i mutamenti sociali che hanno investito le società della riva sud del Mediterraneo a partire dagli anni ’80 siano strettamente legati all’emergere di una rinnovata centralità della religione islamica nella vita quotidiana, soprattutto da parte dei giovani. Una centralità che solo stravolgendo la realtà si può ridurre alla forma dell’islamismo radicale violento.
- 1. Lo sviluppo del pluralismo nell’identità religiosa nelle società della riva nord del Mediterraneo
Nel mutamento delle condizioni sociali dell’identità religiosa la pluralizzazione dei campi di esperienza costituisce un elemento rilevante perché la espone alla necessità di doversi confrontare con codici e contesti da essa indipendenti. L’individuo si trova così nella necessità di elaborare criteri etico-religiosi di interpretazione dell’esperienza sociale adeguati ai diversi contesti specifici nei quali si trova, mirando alla loro composizione in un sistema di senso che abbia per lui un significato alla luce della propria identità religiosa. La differenziazione dei campi di azione sociale collide con la struttura unitaria dei codici di senso religiosi, rendendo problematica l’appartenenza al sistema delle norme religiose istituzionalmente definite e accentuando così l’autonomia di interpretazione. È ormai noto che questa trasformazione, oltre a produrre una diffusa «uscita dalla religione», investe anche il dispositivo di elaborazione dell’identità religiosa dal suo interno, generando rilevanti trasformazioni proprio nella struttura dell’appartenere e del credere che si sostanziano nello sviluppo di una fenomenologia plurale dell’appartenenza religiosa, anche all’interno della medesima chiesa o comunità. In altre parole, possiamo dire che la pluralizzazione delle sfere di esperienza produce conseguenze differenti a seconda delle condizioni sociali nelle quali si trovano gli individui, ma tali conseguenze non comportano sempre uno sradicamento dalle tradizioni di provenienza, anzi, possono produrre una capacità di problematizzazione della propria esperienza di fede che è un importante presupposto dell’orientamento al dialogo tra fedi diverse. Come infatti è stato osservato «le traiettorie individuali non si diversificano all’infinito, ma s’inseriscono in logiche corrispondenti alle differenti combinazioni possibili dell’identità religiosa, combinazioni che all’interno di ogni tradizione disegnano una costellazione di identità religiose possibili. All’interno di una stessa tradizione questa diversità può produrre molti conflitti, a partire dal momento in cui le istituzioni vengono private del loro titolo esclusivo di definire il profilo identitario ufficiale in cui si suppone i fedeli si riconoscano» (Hervieu-Léger 2003, 65, corsivo mio).
In altre parole accade per la religione qualcosa di simile a ciò che modernità politica ha prodotto attraverso la democrazia: l’individuo non solo ha l’opportunità di scegliere, ma è obbligato dalle condizioni sociali a scegliere. L’identità religiosa si trova a dover tenere conto dell’esistenza di altre identità religiose come di un aspetto che modifica la propria struttura del credere. In questo senso anche le identità religiose più conservatrici e che più intendono rifiutare questo stato di cose si trovano ad essere scelte e sottoposte incessantemente alla conferma. Berger ha sottolineato che in tutti i gruppi che promettono di liberare l’individuo dalla solitudine e «di accoglierlo nell’abbraccio di una comunità (…) si passa di nuovo da un mondo di scelte ad un mondo dominato dal fato. Ma questo passaggio è esso stesso una scelta e potrebbe essere invertito da un’altra scelta. L’individuo che compie tale passaggio può fingere che non sia così, ma dentro di sé sa che lo è. (…) Si può scegliere di definire sé stessi “ontologicamente” cattolici, ma tale ontologia deve rinnovarsi in una sequenza ininterrotta di scelte deliberate» (Berger 1993, tr. it 94-95). Ciò significa che la scelta come presupposto delle identità religiose cambia la logica di definizione delle identità stesse.
Ciò può essere colto considerando almeno tre dimensioni dell’identità religiosa:
A) la struttura del credere. Con questo concetto si può intendere il modo in cui l’individuo concepisce/comprende la propria identità religiosa in relazione non tanto alla dottrina ufficiale della comunità o chiesa di appartenenza, ma ai contenuti della propria esperienza di fede. La struttura del credere passa dall’essere monologica, e come tale disinteressata alla diversità, a pluralistica: cioè la relazione di dialogo o di conflitto con le altre fedi diviene un elemento costitutivo dell’identità religiosa stessa (bricolage religioso, neo-tradizionalismo nel senso osservato da Berger, ma anche forme e pratiche di dialogo). Ciò cambia le modalità di elaborare il senso di appartenenza alla comunità e il riferimento alla tradizione.
B) la forma comunitaria del legame sociale. L’identità religiosa si definisce anche attraverso il legame comunitario. La richiesta di riconoscimento nella sfera pubblica dei legami comunitari religiosi ne evidenzia la trasformazione da ciò che è dato e come tale non può essere messo in questione a ciò che viene – in modi diversi – scelto e come tale richiede di essere riconosciuto per esistere. In altre parole il processo di individualizzazione non collide con la comunità (come si pensava un tempo), ma ne accentua il carattere di legame consapevolmente scelto, norma eteronoma alla quale l’individuo si sottomette volontariamente, ma anche – per lo più – solo temporaneamente.
C) la funzione legittimante della tradizione. La tradizione può essere pensata come una pratica sociale attraverso la condivisione della quale gli individui legittimano la propria identità collettiva. L’individualizzazione delle identità religiose non elimina il riferimento alla tradizione, ma lo trasforma in scelta. La scelta della tradizione comporta anche la possibilità di elaborare una tradizione, collegandovi le pratiche del credere. In questo senso le tradizioni in quanto strutture di legittimazione collettiva dei significati sono ri-costruite a partire dalle condizioni di autonomia individuale che definiscono i confini della modernità. In questo senso «essere religioso, nella modernità, non vuol tanto dire sapersi generato, quanto volersi Questo fondamentale mutamento del rapporto con la tradizione che contraddistingue il credo religioso moderno apre, in maniera illimitata, le possibilità di invenzione, di adattamenti personali e di manipolazione dei dispositivi di senso in grado di “fare tradizione”» (Hervieu-Léger 1996, 263).
Questa fluidità nella costruzione dell’identità religiosa ha importanti conseguenze nel trasformare l’appartenenza del credente all’istituzione religiosa di riferimento (chiesa/comunità) accentuandone i caratteri di una “integrazione soggettivamente negoziata e rivedibile”, è ciò che, ad esempio avviene con i giovani. Nello stesso tempo questa fluidità identitaria, legittimando differenti modalità individuali di relazione con i medesimi valori religiosi, favorisce – nei dibattiti attivati nella sfera pubblica – l’elaborazione di argomenti religiosamente qualificati a sostegno di prese di posizione verso la realtà tra loro anche molto differenti. Si tratta di una logica di individualizzazione che si sviluppa parallelamente sia dall’interno della sfera religiosa che dall’interno di quella politica. Nella prima è generata dalla necessità di ricomposizione della pluralità dei contesti di esperienza e di significati che l’individuo si trova ad esperire nella vita quotidiana. Tale ricomposizione non comporta necessariamente la fuoriuscita dalla religione di appartenenza, la rende possibile, ma può svilupparsi anche come ricomposizione che l’individuo compie attingendo – con criteri soggettivi di selezione – al codice simbolico-interpretativo della propria religione di appartenenza, integrandolo, eventualmente, con elementi tratti da altri codici religiosi, secondo un ventaglio di possibilità combinatorie che definisce altrettanti gradi di integrazione/autonomizzazione dall’appartenenza istituzionalmente strutturata. In altre parole le trasformazioni contemporanee del religioso delineano la condizione di una presenza pubblica delle religioni che si realizza non in contrasto con le forme della secolarizzazione, ma a partire ed in forza del dispiegamento della secolarizzazione primo-moderna come separazione e autonomizzazione delle sfere di vita (politica, sapere, lavoro) dall’influenza delle norme religiose.
- 2. Alcuni aspetti del mutamento sociale nei paesi della riva sud del Mediterraneo
Tra i cambiamenti più significativi della modernizzazione nei paesi della riva sud del Mediterraneo vi sono certamente quelli relativi alla crescita demografica, un fattore strutturale importante nella definizione delle nuove generazioni. Le politiche sanitarie hanno prodotto in primo luogo una riduzione della mortalità infantile, incrementando la crescita demografica. La combinazione di una cultura ancora con tratti patriarcali con l’incremento delle possibilità di sopravvivenza offerte dalla diffusione della medicina e delle politiche sanitarie ha creato le condizioni per la formazione – a partire dagli anni ‘80 – della generazione più numerosa nella storia dei paesi del Maghreb. In breve, pur con le ovvie differenze tra i diversi paesi della riva sud del mediterraneo, si può dire che coloro che oggi hanno tra i 30 e i 34 anni sono all’incirca il doppio di quanti erano alla loro età i membri della generazione dei loro genitori (Fargues 2001, Courbage – Todd 2009). Questa generazione è però anche quella che maggiormente ha potuto beneficiare delle politiche di espansione dell’istruzione e dell’accesso all’istruzione superiore.
La diffusione dell’istruzione ha costituito un vero e proprio fattore di discontinuità nei processi di riproduzione sociale e nelle relazioni tra le generazioni, qualcosa che potremmo definire una sorta di «rivoluzione cognitiva silenziosa». Certamente, ciò non costituisce ancora il conseguimento dell’obbiettivo della completa diffusione dell’istruzione, restano infatti settori, soprattutto rurali, della popolazione nei quali sono ancora elevati i tassi di analfabetismo, con le inevitabili conseguenze sociali. Tuttavia una tale espansione dell’istruzione ha prodotto, specialmente nelle aree urbane, le condizioni di un importante cambiamento della costruzione sociale della giovinezza. Si tratta di un cambiamento che interviene nelle dinamiche di relazione tra le generazioni, ridefinendo le condizioni di affinità e differenza tra giovani e adulti.
Come è accaduto anche nella riva nord del Mediterraneo, il prolungamento degli studi costituisce un importante fattore di allungamento della giovinezza e di rinvio dell’età del matrimonio. Inoltre, la diffusione dell’istruzione ha importanti effetti culturali di delegittimazione delle pratiche tradizionali, soprattutto relativamente alla costituzione dei ruoli e delle identità. L’espansione dell’istruzione in un contesto culturale caratterizzato per molto tempo da un elevato tasso di analfabetismo favorisce lo sviluppo di differenze intergenerazionali tra giovani ed adulti: i giovani divengono all’interno della famiglia coloro che dispongono in misura maggiore della conoscenza della realtà contemporanea. Inoltre, come è noto, l’esposizione ai mezzi di comunicazione di massa ha un’influenza culturale molto più rilevante quando è sostenuta da un livello di istruzione medio-alto. Viene così a prodursi una sorta di rovesciamento della relazione tra età e conoscenza: dal modello tradizionale della socializzazione che lega in modo parallelo l’incremento dell’età con la crescita della conoscenza e che costituisce uno dei criteri fondanti la legittimazione dell’autorità dei ruoli adulti, si passa ad un modello moderno, nel quale il processo di socializzazione non ha più il proprio centro esclusivo nella famiglia e nella struttura tradizionale dell’autorità, ma deriva dalla combinazione di una pluralità di contesti nei quali il giovane è inserito e dei quali la famiglia è soltanto uno, accanto alla scuola e al gruppo dei pari. Un importante elemento di novità è dato dal fatto che tale trasformazione investe in misura simile sia i maschi che le femmine, incidendo in modo profondo sulla struttura gerarchica del sistema patriarcale. Naturalmente questo non significa che lo sviluppo della modernità avvenga attraverso la contrapposizione di un nuovo modello di socializzazione a quello tradizionale, ciò che accade è un processo molto più complesso nel quale gli elementi tradizionali non sono completamente respinti, ma rielaborati insieme allo sviluppo delle dinamiche di modernizzazione.
Una ricerca sui giovani egiziani pubblicata nel 2010 (Population Council 2010) mostra che l’elaborazione dell’identità giovanile si sviluppa secondo forme differenziate su base di genere: i maschi appaiono implicati in misura maggiore delle femmine nella riproduzione di ruoli e identità strutturate su base tradizionale. La propensione delle ragazze a preferire in misura maggiore dei maschi ruoli e identità moderni è a loro volta frenata dall’adesione a modelli relazionali e identitari tradizionali, come l’accettazione della destinazione femminile alla cura dei figli piuttosto che al lavoro e, dato ancora più significativo, della pratica dell’escissione. L’identità giovanile appare dunque caratterizzata da una molteplicità di dimensioni nelle quali tradizione e modernità si connettono reciprocamente, piuttosto che scindersi in forma conflittuale. Tale carattere multidimensionale dell’identità giovanile è poi ulteriormente reso complesso dalle condizioni sociali della famiglia. Anche soltanto rispetto alla residenza in aree urbane o rurali e al titolo di studio dei genitori è necessario considerare che l’elaborazione dei tratti identitari giovanili trova condizioni che possono essere estremamente diversificate.
Più in generale, sebbene in modi diversi, nei diversi paesi della riva sud del Mediterraneo è ancora necessario distinguere almeno tre categorie di contesti familiari che definiscono tre tipi di corsi di vita all’interno dei quali si determinano le transizioni della giovinezza:
1) Il corso di vita su base tradizionale è costituito dalle famiglie poco investite dal cambiamento perché si trovano in condizioni di marginalità, sia culturale che economica e territoriale: sono le famiglie delle aree rurali nelle quali più facilmente il basso titolo di studio dei genitori si associa con un basso titolo di studio dei figli, e dunque con una persistenza dei modelli trasmessi dalla tradizione;
2) Il corso di vita basato sulle politiche di welfare è costituito dalle famiglie che sono state direttamente esposte al cambiamento, sia perché si sono spostate dalla campagna alla città, che per la conseguente trasformazione della condizione lavorativa ed economica soprattutto in qualità di lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione o di imprese di proprietà statale. Tale cambiamento in senso moderno ha permesso ai figli l’acquisizione di un titolo di studio più elevato di quello dei genitori e la formazione di aspirazioni alla mobilità sociale, in anni recenti sempre più frustrate dalle crisi economiche;
3) Il corso di vita «post-welfare» è costituito dalle famiglie caratterizzate da elevato titolo di studio sia dei genitori che dei figli e da residenza in aree urbane. Si tratta delle nuove classi medie che si sono formate con lo sviluppo dei mercati e che, ancora ampiamente minoritarie in società improntate a politiche fino ad oggi fortemente dirigiste, determinano transizioni della giovinezza basate sulla scelta individuale e su orientamenti valoriali connotati pluralisticamente (Dhillon – Yousef 2009, 12-16).
L’insieme delinea una forma multidimensionale di modernità che sarebbe ingenuo, oltre che improprio, ridurre a stadi differenti di sviluppo lungo un’unica linea evolutiva orientata al conseguimento della forma occidentale di modernità. Una dimostrazione del carattere specificatamente non europeo del modello di modernità dei paesi della riva sud del Mediterraneo è costituito dal duplice fenomeno di incremento del numero degli studenti nelle università locali, provenienti dalle nuove classi medie, e dalla crescente connotazione islamica delle istituzioni e degli insegnamenti universitari. Tra tutte le istituzioni le università sono quelle che in misura maggiore tendono ad essere le più permeabili alle diverse influenze culturali. Ma la storia della nascita e dello sviluppo delle università in questi paesi mostra come i processi di modernizzazione non abbiano comportato il costituirsi di istituzioni laiche e culturalmente autonome. Al contrario, la «modernizzazione dall’alto» ha favorito lo sviluppo di una dinamica di centralizzazione della ricerca e della formazione superiore nella quale «l’autorité de l’Etat, souvent associée à divers degrés de contrôle religieux, domine de larges pans de la vie sociale. Plusieurs raisons l’expliquent: une historie politique de colonialisme ou de régimes locaux autoritaires dans lesquels un appareil étatique fort devait exercer un contrôle strict sur la production d’idées et d’identité; (…) l’absence d’une classe d’entrepreneurs locaux et la dynamique de la division internationale du travail ayant conduit l’Etat à prendre la place centrale dans plusieurs domaines de la vie du pays dont l’investissement en ressources humaines» (Sultana 2001, 34). Le università nascono infatti come istituzioni statali, fortemente legate alla promozione dell’identità nazionale e religiosa e all’adattamento dei valori arabo-islamici alla modernità. È significativo che parallelamente allo sviluppo di nuovi ceti medi e di più numerose generazioni di studenti universitari, la relazione tra religione e università non venga meno (come prevede il modello europeo di modernità), ma muti dando vita a forme anche molto diversificate di elaborazione politica e di impegno politico da parte degli studenti universitari.
- 3. Religione e vita moderna nelle pratiche islamiste
Lo sviluppo di istituzioni e stili di vita tipicamente moderni nell’ultimo trentennio è proceduto parallelamente all’emergere di forme islamizzate di queste stesse istituzioni e stili di vita: dalle radio e televisioni islamiche, alle banche (senza interessi) fino a nuovi modelli di consumo come il turismo, l’editoria di massa (come la letteratura religiosa di massa o quella rosa) o la moda. Con le università come proprio centro di elaborazione teorica e i giovani istruiti come bacino di mobilitazione critica, l’islamismo si qualifica come un mutamento che «is concomitant with the formation of new middle classes and is on the way to creating its own intellectual, political, and entrepreneurial elites, drawing on their increasing public visibility and commerical success. We can speak of a post-islamist stage in wich Islamism is losing its political and revolutionary fervor but steadily infiltrating social and cultural everyday life practices» (Göle 2001, 94). L’islamizzazione delle sfere di vita costituisce l’espressione di una trasformazione che investe in modo diretto anche l’emergere di nuove forme di soggettività e di elaborazione di significati in relazione alle nuove condizioni e opportunità di vita. In particolare, oltre agli stili di vita, anche l’identità religiosa è sottoposta ad una trasformazione in senso moderno che spinge verso forme post-tradizionali di reinterpretazione della pratica e dell’esperienza religiosa, accentuandone la centralità della soggettività del credente. È in questa prospettiva che si è parlato di oggettivazione della tradizione islamica per molti fedeli, in particolare «questions such as “What is Islam?”, “How does it apply to the conduct of my life?” and “What are the principles of faith?” increasingly are foregrounded in the consciusness of many belivers and are explicity discussed» (Eickelman 2001, 129).
Mentre il tradizionalismo comporta posizioni conservatrici, nel senso della riaffermazione delle tradizioni e della resistenza ai cambiamenti, i movimenti islamisti sono sostenitori di posizioni critiche nei confronti del tradizionale ordine sociale delle società arabe. Un primo elemento qualificante della logica dell’islamismo è infatti la critica sociale dell’ordine tradizionale ancora esistente. La ricerca del nucleo essenziale dell’islam ha spinto i movimenti islamisti verso una rivalutazione del periodo della vita di Maometto come paradigma di un’identità e pratica religiosa non ancora compromesse dai vincoli della tradizione e per questo assunte come «autentiche». In tal modo l’islamismo sviluppa una posizione critica di ispirazione religiosa che va a colpire da un lato l’ordine tradizionale delle società arabe, accusato di ostacolare lo sviluppo di forme di autonomia individuale, rispetto tanto all’esercizio di ruoli che all’elaborazione di significati; dall’altro lato la critica viene rivolta al modello laico di modernità tipicamente europeo, e in modo particolare alla separazione della sfera pubblica dalla religione, senza però respingere insieme a questo tratto le innovazioni e i cambiamenti economici e culturali propri della società moderna. In modo paradossale, nel momento in cui i movimenti islamisti sviluppano una critica religiosa dei ruoli di autorità religiosa tradizionale – come gli ulema – e del loro accesso privilegiato ai testi sacri, e sostengono la legittimità di una autonomia interpretativa dei testi sacri da parte del credente, attivano un processo di democratizzazione della conoscenza religiosa e di incremento della sfera della soggettività nella vita sociale. In particolare, la critica alle forme tradizionali di autorità religiosa sottrae alla loro decisione una pluralità di temi, anche fortemente connotati in senso sociale oltre che religioso, che divengono oggetto di dibattito. Questioni come «the veiling of women, the penalty of adultery, questions of taxation, criminal laws, and religious marriage are no longer issues settled under the monopoly of religious ulema but become subjects of controversy between competing political actors, including female Islamist»(Göle 2001, 96). I mezzi con i quali ciò può avvenire sono molteplici, ma sono – com’è evidente – strettamente connessi all’incremento dell’istruzione tra i giovani: dalla formazione nelle università di scuole e correnti di pensiero che promuovono attraverso pubblicazioni e sui mass media l’autonomia interpretativa e la critica ai ruoli tradizionali di autorità, fino allo sviluppo di un’editoria popolare religiosamente connotata che si caratterizza per la produzione e diffusione di testi economici scritti in modo colloquiale e vivace dedicati ai temi più diversi, dai romanzi per ragazze fino a temi politici e a questioni etico-religiose sulla vita moderna. Certamente, poiché si tratta di una produzione editoriale di grandi dimensioni, le tesi esposte sono anche molto distanti e vi si possono trovare anche posizioni politiche radicali di conflitto con il modello europeo di modernità.
Mentre la critica religiosa dell’autorità tradizionale fa leva sull’incremento della sfera di autonomia della soggettività individuale, un secondo elemento caratterizzante dell’islamismo investe in modo diretto la questione della trasformazione dei ruoli in seguito all’espansione del mercato del lavoro e all’incremento della complessità sociale.
Come abbiamo visto l’accesso delle ragazze all’istruzione superiore e all’università costituisce un fattore di innovazione culturale importante. Infatti in misura crescente le donne rompono i confini che tradizionalmente le assegnavano alla sfera della vita familiare e acquistano ruoli pubblici, dalle attività professionali a quelle associative. I movimenti islamisti legittimano la partecipazione delle donne alla vita pubblica, in ragione della loro adesione alla «causa dell’islam». La critica all’autorità tradizionale e la promozione della partecipazione politica segnano il delinearsi di una sfera pubblica nella quale i movimenti islamisti legittimano la presenza delle donne in ruoli pubblici, sia nelle attività professionali che in quelle politiche. Il riferimento alla religione costituisce anche in questo caso il punto di appoggio della critica della tradizionale esclusione delle donne alla vita pubblica. E quanto maggiore è la loro visibilità pubblica tanto maggiore è la critica alle tradizionali forme di esclusione.
Inoltre, il consolidarsi e l’espandersi dei mercati e delle forme moderne di vita comporta l’emergere di interessi in conflitto e di dinamiche di composizione tra parti diverse e tra concezioni differenti della società. Anche in questi casi, tuttavia, il riferimento all’islam costituisce un fattore di integrazione ed una sorta di «linguaggio comune» nel quale elaborare le differenze. È in questo senso che si è affermato che «one can speak of an emerging Muslim public sphere and a reconsideration of the role of religion in “modern” societies elsewhere» (Eickelman 2001, 130).
La formazione di una sfera pubblica islamica rappresenta uno degli elementi più significativi del modello di modernità dei paesi della riva sud del mediterraneo. L’idea di una sfera pubblica islamica è però elaborata secondo caratteristiche che non corrispondono a quella europea di una sfera pubblica in linea di principio omogenea nella partecipazione e strutturata come spazio di comunicazione democratica tra i cittadini. L’islamismo, infatti, distingue la legittimazione dell’inclusione delle donne nelle attività associative, professionali e politiche, dalla strutturazione dello spazio delle relazioni sociali interpersonali, cioè della dimensione fisica dei corpi nello spazio, attraverso la segmentazione e la separazione dei sessi. In altre parole, sembra di poter dire che l’elaborazione di una sfera pubblica islamica avvenga distinguendo le relazioni interpersonali del tipo face to face dal processo di astrazione e di sviluppo impersonale delle relazioni sociali che caratterizza l’emergere di ogni forma di modernità. Mentre le seconde, rese necessarie dall’incremento di complessità sociale e dallo sviluppo di nuove funzioni e ruoli professionali sono riconosciute anche su base religiosa come aperte all’accesso di entrambi i sessi, le prime rimangono ordinate secondo criteri religiosi tradizionali. La tradizione si intreccia così con la modernità continuando a costituire il fondamento simbolico di legittimazione dell’ordine sociale, ma, allo stesso tempo, articolandosi su livelli distinti in funzione del tipo e del grado di astrazione delle relazioni sociali e dei ruoli.
Conclusioni
I cambiamenti cui ho fatto cenno nei paragrafi precedenti costituiscono lo «sfondo» sociale sul quale si svolgono i mutamenti di questi primi mesi del 2011. Per comprendere questi ultimi è pertanto necessario considerare i primi. Dal punto di vista sociologico è possibile ritenere che siamo di fronte alla crisi del modello di stato dirigista caratterizzato non solo dalla assenza di democrazia, ma anche da politiche di mutamento fortemente impostate sulla logica top-down. Ciò – evidentemente – non significa e non comporta di per sé l’avvio di logiche di mutamento dal basso, tuttavia certamente quello che le rivoluzioni di questi ultimi mesi hanno mostrato è una volontà di cambiamento nella quale la dimensione dell’autonomia decisionale e della libertà personale svolge un ruolo centrale. Sono questi elementi importanti anche nella prospettiva di sviluppo di condizioni sociali di dialogo, sia tra le due sponde che all’interno dei diversi paesi. In particolare, è da attendersi una trasformazione dei movimenti ispirati ai valori dell’islam nella declinazione di politiche sociali. Se fino ad oggi in molti casi questi movimenti hanno potuto diffondersi nella società civile, ma non hanno trovato condizioni di sviluppo in sede di rappresentanza politica, i cambiamenti politici in atto favoriranno probabilmente una maggiore articolazione dei modi di declinazione dell’identità religiosa, anche in chiave pluralistica. È un cambiamento che richiede tempo, ma – come ho cercato di mostrare – non avviene affatto in un contesto riducibile ad una valenza meramente tradizionale delle forme di appartenenza e di identità religiosa. Non è un caso che siano proprio i giovani e in specie quelli delle classi medie e superiori ad aderire a modelli di identità religiosa che sono orientati verso una rilevanza maggiore della coscienza individuale e delle esigenze della soggettività nella declinazione dell’identità religiosa.
Si tratta insomma di una sfida che sollecita, nei paesi della riva nord come il nostro, un impegno particolare per accompagnare e favorire lo sviluppo di pratiche di dialogo interreligioso in ogni contesto là dove possano emergere e consolidarsi. Ciò proprio – è ovvio – a partire dalle forme di dialogo che già sono presenti nella nostra società.
Riferimenti bibliografici
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