Si trova a Dbayeh, nella zona orientale della capitale libanese. I problemi legati a scuola, sanità e lavoro.
Beirut
Visto dall’alto della collina che sovrasta l’autostrada Beirut-Tripoli, il contrasto è di quelli che tolgono il fiato. A circa 15 chilometri dall’aeroporto internazionale Rafik Hariri, in direzione Est, svetta l’hotel Royal, un lussuoso albergo a cinque stelle, con camere che vanno – per il pernottamento e la prima colazione, tasse incluse – da 176 (la Deluxe room) a 1.502 euro (l’Ambassador suite). Le baracche gli sono addosso, vociante e odoroso grumo di povertà mista a disperazione.
Benvenuti a Dbayeh, uno dei dodici campi palestinesi in Libano, l’unico che ospita solo rifugiati cristiani, originari della Galilea, 600 famiglie, poco più di 4 mila persone, uomini, donne e bambini spogliati del diritto, privati del futuro. Ad accogliere la delegazione della Fondazione Giovanni Paolo II è suor Johanna, una delle tre Piccole sorelle di Nazareth che vivono stabilmente in mezzo al degrado. Affiancano la religiosa Oriana Villa e Daniele Maldera, qui per un anno nell’ambito di un progetto di servizio civile all’estero gestito dal Migrants Center della Caritas libanese e dalla Caritas ambrosiana.
«Il campo nasce nel 1956», raccontano Oriana e Daniele. «Il terreno è di proprietà del monastero maronita di San Giuseppe. Le condizioni di vita sono alquanto dure. Chi non ha i soldi per permettersi un generatore non ha neppure l’energia per scaldare l’acqua. L’apposita agenzia dell’Onu che assiste i rifugiati, l’Unrwa, ha una scuola che però è distante e non offre una preparazione sufficiente. Dal punto di vista sanitario, poi, fino ai 60 anni l’assistenza è garantita e gratuita ma mancano diversi medicinali, come quelli contro il diabete, molto diffuso. Gli anziani, infine, dipendono dall’aiuto delle suore e delle Ong che operano nel campo. Esistono attività di socializzazione per chi è avanti negli anni. Caritas ambrosiana sta studiando iniziative simili per i più giovani».
Per il resto, anche i palestinesi cristiani di Dbayeh si misurano con i gravi problemi che affliggono i rifugiati palestinesi musulmani sparsi negli altri campi. «Possono entrare e uscire quando vogliono», riprendono Oriana e Daniele. «Una volta fuori, però, scontano la sostanziale ostilità del mondo che li circonda la quale si traduce in una serie di professioni e di mestieri interdetti (erano oltre 70 fino al 2005, una riforma legislativa li ha “ridotti” a una ventina, ndr), in severe limitazioni circa il diritto di proprietà, in stipendi dimezzati rispetto ai libanesi doc: in media, 350 dollari al mese contro 700. Le Piccole sorelle di Nazareth, noi e altri operatori ce la mettiamo tutta. Ma le difficoltà sono tante. Prendiamo l’istruzione. Una quindicina di bambini non va a scuola perché i genitori, impossibilitati a pagare le rette delle scuole private, reputano inutile farli andare nelle pluriclassi dell’Unrwa dove a 12-13 anni non si è ancora imparato né a leggere né a scrivere».
La Fondazione Giovanni Paolo II ha deciso di finanziare borse di studio per i piccoli palestinesi cristiani e, se le donazioni saranno sufficienti, anche per i bambini poveri libanesi. Si punta a raccogliere 365 euro per studente: l’equivalente di un caffè al giorno, per un anno.
Alberto Chiara
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