Memorie storiche
mons. Giuliano Agresti, Settimana di preghiera 1985
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci porta, quest’anno, nel punto nodale dell’esperienza redentrice di Cristo e della «novità cristiana». Ci richiama infatti al «passaggio» di lui al Padre attraverso la morte di croce e al nostro «passaggio» pasquale «dalla morte alla vita». È l’essenza della Buona Novella. La lettera agli Efesini, cha ha un carattere particolarmente ecclesiologico facilmente conduce al senso ecumenico delle due verità.
Cristo è morto «per riconciliare tutti… con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia» per cui, diventati «concittadini dei santi e familiari di Dio», «possiamo presentarci, gli uni agli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef. 2,14-19). È la vittoria sul peccato che dà la morte e la cui essenza è vista dai Padri nella divisione, nella frantumazione, nella dispersione. «Satana ci ha dispersi» scriveva Cirillo d’Alessandria e Massimo il Confessore affermava che per il peccato «la natura unica fu spezzata in mille pezzi». S. Agostino, adoperandola simbologia di un vecchio mito e parlando di Adamo, dice che egli «concentrato una volta in un solo luogo è caduto ed essendosi in qualche modo frantumato, ha riempito di frantumi il mondo intero». I frantumi delle chiese sono dunque anch’essi il segno del peccato e testimonianza rovesciata di morte. Ecco allora perché il movimento ecumenico è indispensabile, è vocazione della chiesa della vita. Esso è la fatica, benedetta e confortata dallo Spirito, per cui ci muoviamo rispondendo all’appello divino dell’unità in cui muore la malattia dello Spirito perché «dove è l’uno non c’è più malattia».
Certo, l’impegno ecumenico, delicato, paziente e tenace, ha bisogno di essere condotto con la luce e la forza dei punti nodali espressi dalla lettera agli Efesini: la memoria dell’amore e della misericordia di Dio, perché il senso della «gratuità» della salvezza ci renda «gratitudine vissuta» e quindi capaci di essere «accoglienza fedele» dei fratelli; la memoria del nostro peccato per essere poveri e umili nella ricerca dell’unità; la gioia del Battesimo per sentire la comune radice dell’essere «una cosa sola»; «la grazia» da cui siamo stati riconciliati per non rendere vana la croce di Cristo con le nostre divisioni.
Soprattutto è davanti a noi, nel tema della «Settimana» del 1985, il mistero della morte e risurrezione di Gesù, cioè «il mistero» che essenzialmente ci qualifica, perché in esso è avvenuto definitivamente per noi il passaggio dalla morte alla vita e che inesorabilmente ci richiama all’unità. È infatti Cristo morto e risorto per la nostra salvezza «il progetto e l’ideale di vita» fuori di noi, oltre la nostra storia, che ci permette di poter essere davvero «una cosa sola».
La proposta del tema della prossima «Settimana» viene dalla Giamaica e perciò l’accento delle nostre riflessioni «è posto più specialmente sul cambiamento radicale intervenuto nella situazione dei nuovi convertiti di Efeso, siano essi provenienti dal giudaismo o dal paganesimo, e «parla» con molta forza ai cristiani che si trovano oggi di fronte a tanti fattori di divisone, nella loro vita, nella chiesa e nel mondo».
Ma la proposta giamaicana ci richiama anche all’importanza delle chiese locali nell’impegno ecumenico, che ormai tutte le deve raggiungere e manifestarsi concretamente in esse, se vogliamo che davvero l’ecumenismo sia, come deve essere, un fatto di chiesa.
Voi che, in unione col vostro vescovo, mettete esemplarmente in atto questa verità, esemplarmente mettete in atto la vostra vocazione. Mi ha colpito la notizia ricevuta del centinaio fra parrocchie e comunità religiose che vivono la preghiera continuata per l’unità dei cristiani. Avete trovato il «punto decisivo della questione», perché l’unità dei cristiani è soprattutto «dono dall’alto» ed è la preghiera corale che ha parte determinante per il «dono». Avete inoltre compreso il senso autentico della «Settimana» del gennaio. Essa non può e non deve chiudere in sé l’ansia ecumenica, ma è «un momento forte» per educare ad essere sempre ecumenici, specie nella preghiera e ad accentuare il fine ecumenico di essa in altri tempi dell’anno liturgico.
Coraggio e avanti! L’ecumenismo è vocazione della chiesa che da esso non può prescindere e una chiesa locale, pervasa da Spirito ecumenico e dalla conseguente azione, ha la benedizione del Signore.
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