GERUSALEMME. Angiolo Rossi e don Giovanni Sassolini, per conto della Fondazione Giovanni Paolo II, hanno trascorso alcuni giorni a Gerusalemme, Betlemme e nell’alta Galilea per verificare lo stato di avanzamento di due progetti della Fondazione. Incontri e riunioni si sono succeduti per mettere a punto nuovi interventi e verificare quanto fatto. Intanto la notizia positiva è che in Terra Santa, dopo quasi sette anni di assenza, sono tornati i pellegrini. Gli alberghi di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth sono pieni di gruppi e tutti hanno prenotazioni fino a giugno 2008.
Gerusalemme, 28 novembre 2007 – La prima importante e lieta notizia è che in Terra Santa, dopo quasi sette anni di assenza, sono tornati i pellegrini. Gli alberghi di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth sono pieni di gruppi e tutti hanno prenotazioni fino a giugno 2008. Era dal 2000, prima della seconda intifada, che non si registrava un così forte afflusso. Finalmente tutti si sono convinti che, nonostante la situazione politica non sia ancora risolta completamente, non c’è pericolo ad organizzare un pellegrinaggio. E fa piacere vedere che l’economia si è, pur se lentamente, rimessa in moto. All’aeroporto «Ben Gurion», completamente rinnovato, arrivano i gruppi e le guide, come una volta, ne aiutano uno a partire in attesa di un altro che sta per atterrare. Le guide sono commosse; sanno che questa può essere un’occasione per raccontare al mondo delle difficoltà, dei muri che chiudono le città palestinesi, delle difficoltà dei check-point, ma anche di far innamorare i milioni di pellegrini di questa regione del mondo, delle sue città, dei luoghi della fede cari alle tre religioni monoteiste.
I Legionari di Cristo, che gestiscono «Notre Dame», l’albergo fuori delle mura di fronte al quartiere cristiano, crocevia di incontri fra le diverse componenti del mondo cristiano, sono convinti che si debba far di tutto per riportare qui i pellegrini per «far loro amare la terra dove ha vissuto Gesù Cristo». Così come punti di incontro sono Casa Nova e i luoghi di ospitalità della Comunità maronita.
Una felicità che si poteva leggere anche negli occhi di Angiolo Rossi e don Giovanni Sassolini, che per conto della Fondazione Giovanni Paolo II hanno trascorso alcuni giorni a Gerusalemme, Betlemme e nell’alta Galilea per verificare lo stato di avanzamento di due progetti. Incontri e riunioni si sono succeduti per mettere a punto nuovi interventi e verificare quanto fatto. Dei due progetti principali a Gerusalemme nella chiesa di Beit Hanina e nel villaggio di Tarshiha (ne riferiamo in questa stessa pagina), ma l’attività della Fondazione ha aperto anche altri «fronti», e non poteva essere diversamente. Innanzi tutto l’ufficio della Fondazione a Gerusalemme, ottenuto il riconoscimento, diventerà operativo (come previsto) a gennaio. Sarà aperto e sarà il luogo nel quale confluiranno tutte le richieste, le idee, i progetti del Medio Oriente (non soltanto della Palestina, ma anche dell’Egitto e del Libano). A guidarlo sarà padre Ibrahim Faltas, coadiuvato da alcuni giovani.
La Fondazione sarà quindi in grado, grazie alla piccola struttura di Gerusalemme, di conoscere e seguire direttamente tutto quello di cui la popolazione ha necessità. La capacità di Rossi e padre Faltas, già sperimentate a Betlemme, negli anni dell’intifada, hanno impresso una forte accelerazione a quanto si sta realizzando. Anche e soprattutto perché la comunità cristiana ha bisogni urgenti e non può essere lasciata sola. I turisti sono tornati, ma molti hanno paura che qualche azione scellerata possa di nuovo compromettere tutto. C’è dalle due parti grande attesa per gli incontri di Annapolis.
Al Santo Sepolcro padre Piccirillo è riuscito in un’impresa complessa. Ha messo d’accordo tutte le confessioni cristiane per fare uno studio sulle condizioni sismiche dell’edificio. Chi conosce la situazione dei luoghi santi sa che nulla si riesce a fare, e anche solo provvedere alla loro conservazione è molto difficile, poiché ciascuna confessione cristiana diffida dell’altra. Padre Piccirillo è riuscito. Ora trovare i fondi necessari non dovrebbe essere un problema, trattandosi del Santo Sepolcro: la Fondazione ha già stanziato 15 mila dollari.
«Notre Dame» sta divenendo sempre più luogo di incontri e condivisione. Durante una pausa dei lavori abbiamo incontrato il vescovo melchita, Ellas Chacour. Una figura carismatica per la sua storia e per la passione che sta mettendo nel dialogo che gli è valsa tre nomine per il Nobel. Il Vaticano lo ha nominato nella commissione episcopale incaricata del dialogo con il mondo ebraico. La dedica al suo libro «Fratelli di sangue» è significativa: «A mio padre, non presente nei libri di storia, che mi ha insegnato il linguaggio della pazienza, dell’accoglienza e della pace. Ai miei fratelli e sorelle ebrei morti a Dachau. Ai loro fratelli e sorelle palestinesi morti a Tel-Azzatar, Sabra e Shatila, ai profughi».
In Terra Santa sono tornati i pellegrini. Ma la situazione per gli abitanti resta difficile, soprattutto per gli spostamenti. I check-point, i muri, le barriere impediscono o rallentano di molto ogni spostamento. Anche noi siamo stati fermati al check-point di Betlemme. Senza motivo ci è stato detto di non passare. L’autista, un paziente e giovane cristiano di origine palestinese ci ha fatto entrare da Beit Jala, giro più lungo e tortuoso. Ma nessun controllo, almeno in entrata.
Un’ultima notizia. Mentre siamo a Betlemme seduti, insieme a Zacharia (uno dei più famosi e bravi artigiani di Betlemme) ci raggiunge la notizia che il 19 dicembre mons. Luciano Giovannetti e il presidente della Unicoop Firenze, Turiddo Campaini doneranno al Papa un presepe, a grandezza naturale, realizzato proprio a Betlemme segno della collaborazione, iniziata nel 2001, fra la cooperativa e gli artigiani rimasti senza lavoro a causa della seconda intifada.
Fondazione, il 10 dicembre a Fiesole incontro con il cardinale Sandri
Si terrà lunedì 10 dicembre, a Fiesole, il primo incontro del Comitato scientifico della Fondazione Giovanni Paolo II, presieduta da mons. Luciano Giovannetti. Del comitato scientifico fanno parte eminenti personalità toscane, fra le quali i ministri Vannino Chiti e Rosy Bindi, i presidenti della Unicoop Turiddu Campaini e della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Gabriello Mancini oltre ai vescovi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Rodolfo Cetoloni, e di Grosseto, Franco Agostinelli. La Fondazione nasce con l’obiettivo di aiutare il processo di pace in Medio Oriente attraverso anche aiuti concreti a progetti di sviluppo economico, sociale e culturale. Ha già avuto, unica Fondazione, il riconoscimento sia del Governo Israeliano che Palestinese. Al primo incontro parteciperà il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che svilupperà la sua comunicazione su «Linee-guida per un impegno a favore delle Comunità cristiane di Terrasanta e dell’Oriente».
I progetti: Un centro giovanile nella Città Santa e una scuola a Tarshiha
La Fondazione Giovanni Paolo II, ha il suo ufficio a pochi passi dal Santo Sepolcro. Aperto da poche settimane è già crocevia di molte iniziative e progetti. Il responsabile è padre Ibrahim Faltas, parroco dell’unica parrocchia latina di Gerusalemme, San Salvatore. La Fondazione è impegnata in due progetti. Uno a Gerusalemme l’altro a Tarshiha, piccolo villaggio del nord, a meno di dieci km dalla frontiera con il Libano.
La parrocchia di San Salvatore ha diverse chiese, una di queste è a Beit Hanina. Anche qui siamo a pochi centinaia di metri da un check-point, quello di Ramallah. Il quartiere dove sorge la chiesa è circondato da piccole case dignitose, alcune della Custodia di Terra Santa dove vivono i cristiani. Qui il progetto finanziato dalla Cei, con il coinvolgimento di molti privati, fra i quali la Unicoop Firenze, sta costruendo una struttura per accogliere i giovani: campi sportivi, aule per incontrarsi, ma anche una pizzeria e una piscina. La struttura è grande e ci sta lavorando un’impresa edile di Betlemme. L’inaugurazione è prevista per il 30 marzo 2008. Sarà il centro più grande e più bello di tutta Gersalemme.
Padre Ibrahim, nella duplice veste di parroco e di responsabile della Fondazione segue i lavori, ha chiaro l’intero percorso. Corre come ha sempre fatto da un impegno a un cantiere, ma nel suo nuovo ufficio di parroco riesce a trovare il tempo per parlare con i suoi giovani per motivarli e impegnarli. Senza la Custodia di Terra Santa, senza il loro quotidiano impegno i luoghi cari al cristianesimo sarebbe diventati musei. Questo è bene ricordarlo. E da questo deriva, e deve continuamente derivare l’impegno verso i francescani e verso i cristiani che vivono in Palestina. Questo progetto, articolato e complesso per un importo di oltre sei milioni di euro, vuole rivitalizzare una comunità forte e vigorosa che ogni giorno, in mezzo a molte difficoltà, testimonia la sua fede. L’impegno finanziario della Cei e dei privati è tutto dedicato alle strutture educative e ricreative. La Custodia si è preso l’impegno della ristrutturazione della Chiesa. Sul tetto della casa, con una vista unica su Gerusalemme, sorgerà anche un convento per ospitare alcune suore. Una comunità di suore per l’accoglienza e la pastorale.
L’altro progetto è a Tarshiha, un villaggio di circa 4.500 persone, metà delle quali cristiane di rito melchita. Accanto alla chiesa dedicata a San Giorgio, si sta ultimando la costruzione, con i fondi della Cei, di una scuola per i bambini. La comunità delle suore di S. Dorotea aiutano il parroco e insieme al dottor Bassam, medico e direttore del consiglio parrocchiale stanno cercando di aiutare la popolazione provata dalla guerra. Quando dal Libano partivano i razzi che volevano colpire il villaggio ebraico di Ma’alot, di fronte a Tarshiha, abitato da oltre 20 mila persone, spesso i razzi compivano le case di Tarshiah. Mentre visitiamo la scuola, ci sono giovani che distribuiscono volantini contro l’installazione di antenne per i telefonini, sostengono che siano dannose. Suor Teresa, suor Giuseppina e suor Salya aiutano il parroco, sposato con figli, nella vita pastorale. Sono punto di riferimento per l’intero villaggio. E vivono sulla loro pelle le mille contraddizioni di questa terra. Suor Salya, giordana, è di fatto «prigioniera» nel piccolo convento. È tornata per rinnovare la sua residenza, ma se adesso ritornasse in Giordania, non potrebbe più rientrare in Israele. E questo è un problema abbastanza diffuso, perché sono molte le suore giordane presenti in Israele.
di Renato Burigana
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